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    Juventus, la Nazionale e quegli esempi che il calcio italiano non ha voluto vedere

    Juventus, la Nazionale e quegli esempi che il calcio italiano non ha voluto vedere

    • Marco Amato
    Nemmeno la penna di Jo Nesbo sarebbe stata capace di descrivere una Oslo così tetra e spaventosa, come lo è stata per la Nazionale italiana ieri sera. La pioggia incessante che si è abbattuta sull’Ullevaal Stadion non cancella anni di delusioni ed errori di programmazione, messi a nudo dalla pesante sconfitta per 3 a 0 degli Azzurri contro i padroni di casa. Come fosse l’ennesimo reboot di Ghostbusters, ancora una volta tornano i fantasmi a ricordare che l’Italia ha mancato la partecipazione ai Mondiali nelle ultime due edizioni e che, dopo ieri sera, rischia di saltare anche il terzo consecutivo.


     
    Eppure nulla cambia. Mentre tutto intorno è caos, mentre i tifosi presenti nella capitale norvegese contestano e sui social si rincorrono gli hashtag con suffisso “out”, nell’occhio del ciclone si sta tutto sommato comodi. Contestualmente, quei fantasmi di cui parlavamo in precedenza assumono forme differenti: c’è quello che urla con la bava alla bocca, lamentando la presenza di troppi stranieri nel calcio italiano. C’è quello con il vestito vintage e un pallone di cuoio in mano: “Non si gioca più a calcio per strada”. Al solito, la realtà è complessa e presenta più sfaccettature che, difficilmente, possono essere risolte a colpi di slogan e frasi fatte.
     
    Seguendo quotidianamente la Juventus, però, può capitare di andare a sbattere contro le assurdità del calcio italiano, capace di avvitarsi su sé stesso mentre tutti intorno lo guardano e si domandano: ma perché? Per esempio, perché alzare l’età del campionato Primavera, prima Under 19 e poi Under 20? In questo, il club bianconero stava mostrando la strada: far giocare i sotto età, testarli in un campionato più impegnativo per permettere loro di mettersi alla prova e poi ambire al salto. Puntare veramente sui giovani e non far sì che le squadre giovanili diventino un parcheggio per ragazzi che si trovano nel limbo, senza un accesso diretto al calcio professionistico. Inoltre, a certi livelli, aumentare l’età media ha effetti diretti sulla fisicità del gioco, a discapito della tecnica. Piuttosto che rischiare, piuttosto che seguire l’esempio di Juve, il calcio italiano ha deciso di sdraiarsi sopra due comodi guanciali e voltare la testa da un’altra parte.
     
    E che dire delle seconde squadre? Un’oasi per il calcio italiano, mentre tutto intorno è un deserto di mancate iscrizioni, stipendi non pagati, fallimenti a stagione in corso. Si può non essere d’accordo, ma si può comprendere la contestazione delle frange più identitarie del tifo di Serie C. Quello che riesce difficile da comprendere, invece, è la corsa a ostacoli burocratica, economica e amministrativa che il calcio italiano pone di fronte a chi vuole iscrivere una seconda squadra. Anche in questo, a mostrare la via è stata la Juventus, poi seguita da Atalanta e Milan. Anche in questo caso, esempi di progetti che funzionano non vengono presi come modelli da ripetere e facilitare.
     
    Certo, non siamo ingenui. Juventus lavora in questo modo per il proprio benessere, per portare giocatori pronti in Prima squadra e per avere dei vantaggi economici. E, ancora, è chiaro che avere il passaporto italiano non sia una prerogativa: il settore giovanile bianconero risponde a obiettivi interni, non a quelli della Figc. Come dicevamo, però, seguire da vicino certe dinamiche aiuta a comprendere le assurdità sulle quali il calcio italiano si incaglia. Non sarà la spiegazione, ma è una spiegazione. La punta di un iceberg che scende profondo nel Mar di Norvegia, mentre l’Italia rischia di nuovo di far la fine di Titanic.
     

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