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L'ultima, grande notte. L'ultima, grande sfuriata. Doveva finire così. Con la Juve in festa. Con il corto muso. Con Allegri e il suo manifesto: proveremo nostalgia anche di questo. E non perché non sarà in grado di sostituirlo, ma perché uno così, un unicum in tutto, alla fine o lo ami o lo odi, o lo ammiri o finisci pure per perdere le tracce di rispetto. 

Max è stato ogni cosa, è stato tutto. E' stato il parafulmine, il catalizzatore, l'uomo con più articoli subiti, con un racconto a volte storpiato, a volte troppo tenero. E' stato la Juve, soprattutto nel momento più doloroso e difficile. E ha urlato al cielo, dopo un'ingiustizia arbitrale, che c'ha messo semplicemente ogni attimo di sé. Non riuscendo neanche a sbollire quando i sorrisi dei suoi ragazzi hanno provato a cambiargli l'umore. 

Maresca, Rocchi, la distanza decisamente marcata dai dirigenti, pure quando la festa ha mischiato i volti e le sensazioni. Non gli è passata, ad Allegri. Probabilmente non gli passerà mai. E ha voluto ribadirlo nel momento in cui ha recuperato massimo credito, quando ha ricordato al mondo Juve che c'era lui davanti alla bufera, e il resto nascosto negli uffici. E' la sua verità, naturalmente. Ma di questa si è sempre cibato, anche quando le certezze sembravano smarrite. 

Sotto il cielo di Roma, con la curva in festa e un popolo tornato a innamorarsi di una squadra di cui può dirsi (nuovamente e finalmente) orgoglioso, la sensazione è che si sia chiuso un ciclo intenso. Non bello, né brutto. Forte. Impattante. E' successo tutto, e c'era Allegri davanti al resto. Seduto sui gradoni, a guardare la curva, le lacrime vanno giù. I brividi scorrono. La storia resta.