DAL TENNIS... - Non a caso, le risposte più piccate sono arrivate ai giornalisti connazionali. Poi, certo: nel calderone ci sono finiti tutti. E con un moto d'orgoglio, Morata ha dovuto innanzitutto precisare: "Pochi gol? Come attaccante certo che vorrei fare 30,35, 40 gol ma ne ho visti tanti in carriera che ne hanno fatti 40 e non hanno vinto niente. Io ne ho fatti a volte 15, a volte di più ma quasi sempre, tranne l'ultimo anno ho vinto tante cose. Da titolare o non titolare. Ma è una squadra, se vuoi guardare i numeri singoli è meglio che vai a giocare a tennis o un'altra cosa". Verrebbe da dire: game, set, match. E verrebbe da dire che è bella, sì. Che è una risposta finalmente di un ragazzo che ha smesso di lottare (anche) contro le sue paure e s'è fatto uomo: in primis accettando i suoi limiti, quindi cogliendo il segreto allargato del gioco. Si perde, come si vince, tutti insieme.
A SARRI - E l'insieme è stata l'ultima scintilla scattata in Alvaro, tornato per restare e per scrivere un'altra storia e possibilmente più lunga. Non sarebbe mai andato via, nel 2016, nonostante un minutaggio diminuito e un Dybala in rampa di lancio. Si sentiva bene e si sentiva soprattutto amato, cosa che in Spagna ha percepito solo a tratti, a Londra neanche un po'. "Quando capisci che la tua vita non può cambiare, è meglio finirla lì", le parole di Morata riferite al periodo Chelsea. Chi c'era, ai tempi? Proprio Maurizio Sarri. Che l'ha lanciato, poi smarrito, infine ceduto all'Atletico. Una storia mai sbocciata, anche per qualche dissidio interno tra i due. "Pirlo è elegante, è nato per questo. E sa trattare bene il gruppo", il primo tiro a effetto del nuovo numero nove. E l'obiettivo non era il gol, ma colpire. Colpire Maurizio Sarri. Nell'ambiente Juve, e nei ricordi di Morata, un nome da dimenticare in fretta.