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Gli indizi si sono fatti prove. E le prove sono diventate schiaccianti. Per una volta, Dejan Kulusevski non sarà trattato come quella spia sul cruscotto a cui ormai non fai neanche più caso: è un problema, per questa Juventus. Lo è per il presente, lo è soprattutto per il futuro. Perché se è vero che serve (anche) sbagliare per crescere, di questo passo lo svedese rischia di cadere sul treno - in corsa - della sua carriera. E tutto quel talento non può meritarlo, né la Juve può rischiare di bruciare un investimento così importante.

TATTICAMENTE -
Non merita, Dejan, neanche di essere lasciato all'angolo mentre impazza la tempesta, come un bambino spaesato che vorrebbe solo trovare un riparo. L'errore che spalanca la strada a Sanabria è in questo senso un'indicazione, è l'umanità di un secondo e quindi la fragilità di chi non si sente a proprio agio. Nonostante le opportunità, tante, di lasciare una traccia. Nonostante le opportunità, tante, pure di sbagliare. Alla base continua a resistere una difficoltà di comprensione della missione, particolare e generale. Perché se da punta tutto era diventato ricevere e scaricare, da esterno con licenza d'infilarsi la check-list è aumentata a dismisura. Coprire, proporsi, allungarsi, stringersi, smistare e infilarsi, quindi assistere e magari concludere. Risultato? Talmente impantanato da non saltare neanche l'uomo: la sua specialità. 

PSICOLOGICAMENTE - La confusione tattica è pure la confusione mentale. Non esistono gambe che vanno se la testa non è al suo posto, o viceversa. Nel blocco creativo di Kulusevski c'è tanto delle incertezze di questa squadra, non esattamente giovane come Dejan, ma come lui assolutamente impreparata a vivere al vertice con tutto ciò che comporta. Il primo lavoro, in questo senso, non può essere diverso da una "salvezza psicologica": se lo svedese non sa essere Chiesa al centro del villaggio, lo si accompagni dolcemente verso i ritmi di questa squadra, senza lanciarlo dentro, subito, privo di un copione o di un canovaccio di indicazioni. Altrimenti è come dare il palco della Scala a un soprano certamente dotato, ma ancora col pensiero fisso di tutti quegli occhi pronti a giudicarlo.

Sì, lo sappiamo: situazione già vista. E allora, tanto per capirci: ripercorra le orme del Pirlo giocatore, non della versione da panchina.