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La partita di stasera della Juve contro il Verona va oltre i 3 punti: rappresenta la conferma che la nuova via è stata imboccata. Ed è vero che gran parte dell'inizio (siamo all'inizio, non dimentichiamolo) del riscatto è dovuto all'innesto di giocatori cosiddetti “giovani”. Ma “giovani” vuol dir poco. In Italia è una connotazione, per lo più negativa. Si ritiene che non abbiano sufficiente esperienza per la serie maggiore, che rischino di bruciarsi.

Ecco, il termine bruciarsi è potente ed efficace, però maramaldo, figlio di troppo paternalismo e di un'eccessiva fretta. Se un “giovane” si brucia dopo una partita forse non dipende da lui, ma da giudizi affrettati, da una società che non lo sostiene e anche dalle sue intrinseche qualità. Magari qualcuno è già maturo e qualcuno non maturerà mai. L'essenziale sarebbe, per chi esordisce in A con una maglia “pesante” (altro termine ambiguo) come quella della Juve, togliere la pressione e avere pazienza. Dovrebbe anche essere considerato ragionevole il fatto che gran parte di questi “giovani” hanno già una certa esperienza alle spalle. Hanno giocato in serie B o in C nella Next Generation. E, a questo punto, bisognerebbe lodare l'iniziativa della società per tale progetto: al di là dei risultati in classifica, alza il livello dell'impegno per i giocatori sotto i 23 anni e ottiene risultati nel vivaio.

Quando diciamo che molto probabilmente Allegri non avrebbe utilizzato Fagioli, Illing o Soulè se non fosse stato costretto dall'infermeria, dimentichiamo che però questi giovani c'erano. Certo, il fattore rischio esiste sempre: vedi Frabotta. Ma fra bruciare e dimenticare, talvolta, la differenza è labile. Un esordiente, un “giovane” arrivati alla panchina della prima squadra un po' di pazienza se la meritano. Solo un po'. Pensate, invece, di quanta pazienza ha potuto godere Rabiot.