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Martedì 10 Aprile 2018, ore 23 e 08, Roma Nord, un quartiere solitamente quieto, residenziale,  umbratile, contornato da pini e da case sorte tra l’inizio del ‘900. Partono i primi clacson, addirittura i fuochi d’artificio. I motorini strombazzano, le Smart sono scatole sonore che urlano Grazie Romaaaaaa. E io sono contento. Non perché per la seconda volta in vita mia ho scommesso, vincendo una cifra considerevole, e nemmeno per un bieco calcolo che la Roma avanti in Coppa significa una squadra più debole in campionato, fino alla trasferta forse decisiva per noi.
 
Sono contento perché non se ne può più della retorica d’una Spagna vincente “Uber Alles” e perché il mio amico romanista, illustre medico, stasera ha deciso di non andare all’Olimpico, pur avendo un biglietto gratis, e di venire con sua moglie (romanista anche lei) a piangere a casa mia. Un Tiziano (fragole schiacciate e Brut italiano), una pasta ai moscardini, una misticanza (insalata di campo) e una  mozzarella per elaborare insieme il lutto. Ricotta con marmellata di visciole per finire.
 
Non ne voleva sapere niente, “Di Francesco faceva pena”, e il televisore doveva rimanere spento. L’ho tenuto acceso io, a voce spenta perché ero convinto, con la testa libera, che la Roma poteva farcela: in casa, un goal in trasferta e nulla da perdere. “Nulla da perdere” è un motto da disperati, ma la disperazione sprigiona la temerarietà che serve. Dovrebbe essere anche il nostro motto ,domani, però per noi sarà più difficile.
 
E’bastato poco per capire che Collina (si fa per dire, è un’illusione anche questa) aveva “resettato” l’arbitro dopo la pessima prestazione del direttore di gara in quel di Barcellona e che la Roma ci credeva con l’energia dell’ ultima, dell’ unica, spiaggia. Al secondo goal, su rigore d’un magistrale De Rossi, il mio amico ha tirato fuori il biglietto e io gli ho detto: “codardo”. “No - ha risposto lui - un sacrificio premeditato, una preparazione al martirio, fidando nella sorte”. E ha continuato, contro gufando e dicendo che “era impossibile”. Fuori il silenzio imperava come un sortilegio prima d’una condanna capitale e alla fine è esploso il giubilo di chi ha realizzato l’impossibile.
 
Il mio amico romanista,  dopo l’inzuccata di “Moussaka” Manolas, ha detto che il suo sacrificio era stato propiziatorio. Con ammirazione e un po’ di rimpianto preventivo per domani (oggi per chi legge) gli ho risposto che era un “codardo vincente”, ma lo capivo: la squadra innanzi a tutto. In fondo anch’io non ho avuto il coraggio di andare a Madrid, ma spero che la mia disperazione sia quella della squadra: non abbiamo nulla da perdere. E quindi….