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Il “romanticismo nel calcio non c’è più” come recita Tacchinardi; le buone maniere sono tramontate un po’ ovunque e la diplomazia spesso coincide con l’ipocrisia, ma ci vorrebbe un po’ di coerenza anche nella finzione. Se ha ancora un senso la recitazione, la commedia Juve-Dybala non è stata il frutto d’un grande autore e gli attori non son stati gran che.

Anzi, l’attore. Stiamo parlando di Maurizio Arrivabene. Ha cominciato circa sei mesi fa con un sì (o quasi) al rinnovo del numero 10 argentino, ha continuato con un ni (per ragioni tecniche, si dice: la licenza di Antun), ha concluso con un no. Le motivazioni di questa scelta sono state nell’ ordine: “Lo abbiamo fatto per rispetto di Paulo”, “Sappiamo la grandezza del giocatore e lo rispettiamo”, “E’ chiaro che con l’arrivo di Vlahovic, qualcuno doveva andare via”. L’asticella s’è alzata o abbassata (fate voi) con l’ultimo: “Non era più al centro del progetto”. Insomma, un teatrino scritto male e condotto peggio, che prima ha procastinato, poi diluito, il botto col tentativo d’addossare al giocatore qualche responsabilità: le occhiatacce a fine partita, l’avidità, una certa labilità caratteriale…L’A.D. della Juventus s’è addirittura risentito perché qualcuno ha criticato la società bianconera che si sarebbe lasciata sfilare a zero il giocatore: “Non se ne è parlato così tanto quando è capitato con Donnarumma!” Veramente non s’è fatto altro prima, durante e dopo. Diciamo che il trattamento riservato all’ex portiere del Milan è stato diverso: i tifosi gli han dato del traditore. Con Dybala non è successo perché le parti erano invertite: a lui non è stata nemmeno concessa una contro offerta, nemmeno un gioco al ribasso. Se poi si vuol stabilire che in generale e non solo alla Juve, s’è inaugurata la stagione dei parametri zero è un altro discorso.

Bisogna pur dire, comunque, che il fatto di mettere in prima linea l’A.D. juventino nella scelta di scaricare Dybala significa, prima di tutto, una condivisibile assunzione di responsabilità univoca per impedire l’anarchia di frammentazioni politiche e comunicative. Pensiamo, infatti, che alla decisione di dare il benservito alla Joya non sia estraneo Allegri. Non l’ha mai amato molto e ha sempre tentato di risucchiarlo nei gorghi del centrocampo, lontano dalla sua naturale vocazione ovvero la porta. D’altra parte, i giocatori di tecnica sublime non hanno mai incantato l’allenatore labronico: vedi il trattamento riservato a Pirlo, nel Milan.

La fine della commedia, per chi vuole bene alla Juventus, è, comunque, amara anche per un’altra ragione: non può far piacere avere un Dybala in meno e un Arthur, un Ramsey, un Rabiot, in più. Ma questo piatto a Arrivabene lo hanno servito, lui (probabilmente non da solo) ha cucinato l’altro.