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Può succedere a tutti. In questa stagione non se la sono passate bene il Real, lo United, il City; qualche battuta d’arresto anche per il Bayern. Ma chi, fra le grandi squadre, ha attraversato un mese horribilis come quello della Juventus?
D’accordo, ci siamo abituati, Allegri lo prevede ogni anno, però qui s’è andati oltre. Già lo stentato pareggio di Bergamo all’ andata, la sofferenza in Supercoppa col Milan lo facevano presagire, in più aggiungiamoci la sciagurata scelta di cedere Benatia e dover improvvisare una difesa non molto affidabile, puntando su un Caceres tappabuchi improvvisato. Né regge la scusa degli infortuni: una grande squadra li mette in calendario e, per ogni reparto, appronta un piano B.

E allora qual è la ragione di questo colpo di sole in pieno inverno? Forse ce n’è più d’una. Arroganza? Il sostantivo derivato dal latino arrogare (chiedere, pretendere) viene usato dalla nostra tradizione maggiore (Dante) a significare “presunzione e superbia” oppure, per Guinizelli, “alterigia, tracotanza”. Non ci pare questo il “peccato” della Juve. 
Piuttosto opteremmo per le parole superficialità e appagamento. Il duo Paratici-Allegri ha nutrito troppa fiducia nel presente, senza voler udire qualche scricchiolio evidente. Sono andati avanti lo stesso, sfidando il fato, sordi al vero vulnus della Juve, ossia il giocatore davanti alla difesa, quello, un tempo, impersonato ottimamente da Deschamps e mirabilmente da Pirlo. Nessuno di quelli a disposizione può, oggi, degnamente ricoprire quel ruolo: Bentancur dà il meglio di sé più avanti, Pjanic soffre i marcamenti pressanti, Can leva i palloni assai bene, ma non li governa allo steso modo, Khedira gira al largo. Insomma, quel nodo è nevralgico da tempo e si è pensato di coprirlo con Bonucci, quando si sa che nel cuore del gioco propositivo arretrato, il lancio non basta.

Un altro termine significativo a illuminare in parte questo periodo ombroso può essere: permalosità. Entrando in punta di piedi a Torino, Allegri sembrava un chierico timido e disponibile, tutto l’opposto del sergente Conte. La prima cosa che disse  disse fu “io con i giocatori preferisco parlarci e soprattutto acoltarli”. Dalla caserma si passava a uno studio di psicoterapia. Col tempo, con le affermazioni, con le vittorie, i successi le cose sono cambiate. L’allenatore livornese pare fin quasi troppo sicuro di sé, non sopporta qualche alzata di testa da parte di nessuno, non tenta o non ha voglia di recuperare e aggirare lo sfogo. Successe l’anno scorso con Bonucci, è successo recentemente con Benatia. Due giocatori dai caratteri non facili, ma proprio per questo da governare in un certo modo. Invece passa la formula risolutrice e troppo semplificatrice: “La Juve non trattiene chi se ne vuole andare”. Anzi sembra incoraggiare la buona uscita di giocatori validi e utili. Bonucci prima e, con maggior danno per l’immediatezza, Benatia oggi, mentre il caso Dybala rimane costantemente vivo.

Insomma,  questo preoccupante appannamento bianconero non deriva solo dagli eccessivi carichi di lavoro.