commenta
Il razzismo è uno schifo. Il razzismo è un problema. E lo è più che mai oggi, in Italia. Certo, non è un caso legato solo ed esclusivamente alla nostra penisola, ma è un moto e un pensiero (orribile) che ha esternazioni sempre più frequenti, a cui si deve far fronte. Come? Con la tecnologia, i sistemi di sicurezza e tutte le altre possibili manovre che escludano per sempre chiunque osi rendersi protagonista di ignobili gesta e urla. Sì, perché se è vero che anche oltremanica hanno i loro problemi (ultimo tra tutti il caso Pogba), è anche vero che la sostanziale differenza si trova proprio nelle misure di sicurezza. Mezzi, strutture e la volontà continua di migliorarsi per garantire al gioco più bello del mondo di essere uno spettacolo vero, e non un'esibizione di retrograde e barbare mosse. 

Quanto successo a Cagliari con Lukaku è terribile, ma ancora peggio è la difesa portata avanti dalla Curva Nord dell'Inter nei confronti dei tifosi sardi, giustificati così: "Ci spiace molto che tu abbia pensato che quanto accaduto a Cagliari sia stato razzismo. In Italia usiamo certi “modi” solo per “aiutare la squadra” e cercare di rendere nervosi gli avversari non per razzismo ma per farli sbagliare". Parole che mettono i brividi. Pronunciate da chi, anche solo per appartenenza nerazzurra, avrebbe potuto difendere e proteggere il proprio attaccante. E invece no. Così, questo caso, già di per sè raccapricciante e che aveva coinvolto molte voci nazionali a sostegno dell'attaccante belga, ha preso una dimensione internazionale. E oggi l'Italia è sui maggiori quotidiani europei, dipinta come razzista. Non tutta, è chiaro, ma tant'è. 

C'è però un secondo problema che si aggiunge alla mancanza di strutture adeguate per la sorveglianza, ed è la sottovalutazione del problema. Troppo spesso queste situazioni sono state prese alla leggera, chiacchierate solo nei momenti successivi ai fatti più gravi e poi abbandonate ai noti claim "No al razzismo". Campagne utili e doverose, ma non supportate dai fatti, anche quando le avvisaglie ci sono state. Già, perché sempre a Cagliari solo qualche mese fa, un episodio molto simile a quello di Lukaku era già capitato: protagonisti Moise Kean e Blaise Matuidi. Il primo segna e si ferma immobile a guardare chi fino a quel momento l'aveva bersagliato, il secondo si infuria con l'arbitro senza ottenere la giusta attenzione. Entrambi escono frustrati dal campo. Ma di difese ne arrivano poche, anzi: il Cagliari nega l'accaduto, qualcuno accusa Kean di essere un provocatore e la Lega fa melina. Come ciliegina su una torta malfatta, arriva il Giudice Sportivo che grazia i protagonisti: “rilevato che è emerso che i cori in questione, pur certamente censurabili, hanno avuto durante la gara una rilevanza oggettivamente limitata anche in ordine alla effettiva percezione”. Effettiva percezione, rilevanza limitata: una spiegazione con poco senso. Un pessimo primo esempio, che rischia di avere un seguito nel caso Lukaku, per cui per ora è stato soltanto chiesto un "supplemento d'indagine". Nessuna pena, anche questa volta. E a poco serve il sostegno social delle "autorità", pur giusto e doveroso, se si sottovalutano i segnali, se non si lotta.

Il razzismo è uno schifo, un fetido dirupo in cui rischia di crollare il nostro calcio. E la nostra società. E chi non lo condanna con i fatti, non solo con le parole, non fa  altro che peggiorare la situazione.