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Ciro Immobile, attaccante della Lazio, sta vivendo un inizio di stagione incredibile. Già 13 gol e la voglia di non fermarsi più Il bomber, cresciuto nella Juve, si è raccontato al Corriere dello Sport.
 
Inizio chiedendole: cosa c’era di calcio nella sua stanza da bambino? 
"Nella mia cameretta c’era una decina di palloni, una porta piccola e poi tanti giornali. Perché a volte io e mio fratello facevamo il pallone con la carta. Mia madre infatti si lamentava che, a casa, con quello di plastica rompevamo troppe cose. Io e mio fratello, pur di giocare, raccoglievamo tutti i giornali e facevamo una sfera che “chiudevamo” con lo scotch. Veniva bene, in fondo, era calciabile e così non si rompeva niente. Poi ovviamente sulle pareti poster della Nazionale e della Juventus, perché noi eravamo juventini, da piccoli". 
 
I suoi genitori che facevano di lavoro? 
"Mio padre era un operaio. Lavorava in fabbrica a Castellammare: prendevano i treni vecchi, li aggiustavano e li rimandavano sui binari". 
 
Sua madre? 
"Mia madre ha fatto la colf per una decina di anni e poi, per cinque o sei anni, la baby sitter. Dopo non ha più lavorato". 
 
Qual è il primo regalo che ha fatto ai suoi genitori appena la sua vita è cambiata? 
"Gli ho regalato una casa, perché non mi piaceva dove vivevamo prima, era una brutta zona. I miei hanno fatto molti sacrifici e volevo tanto ringraziarli così. Glielo avevo promesso a mia mamma: quando ero piccolo le dicevo “Un giorno io diventerò calciatore e ti comprerò una bella casa con la piscina”". 
 
Si ricorda se gli ha fatto una sorpresa o l’ha scelta insieme a loro? 
"No, non è stata una sorpresa, perché volevo che la scegliessero loro. Mi piaceva che decidessero la zona e la casa". 
 
E ha un ricordo dei suoi genitori quando lei ha cominciato a giocare? Un momento particolare? 
"Mia madre all’inizio ha sofferto tanto, quando sono andato via di casa. Poi ha capito che la mia strada era quella e ha fatto tutto il possibile per starmi vicino. Lo stesso mio padre. Mio padre ha visto realizzare il suo sogno. Perché lui, quando era più piccolo, ha sempre giocato al calcio. Ma erano tanti fratelli e purtroppo il padre, mio nonno, non gli poteva far realizzare questo desiderio. Io ero il suo riscatto, lui mi ha sempre spinto, sempre aiutato. Proprio come mia madre. Ancora adesso si emozionano. Quando ho fatto la tripletta nella partita con il Milan i miei si sono messi a piangere , sono stati ripresi anche dalle telecamere". 
 
Quali sono i valori che le hanno insegnato i suoi genitori? 
"Mi hanno detto, e mi è rimasto sempre nel cuore, che dovevo restare sempre quello che ero. Mi hanno insegnato l’umiltà, il non mollare mai, il fare sempre quello che desidero e rispettare l’avversario, le persone. Tutte cose semplici e importanti". 
 
Lei come ha cominciato a giocare? 
"Io ho un fratello più grande e mio padre portava lui al calcio perché voleva che giocasse. Invece mio fratello era negato, non gli piaceva, piangeva e quindi, appena sono cresciuto un po’, papà ha portato me. I primi allenatori gli dicevano che ero portato per giocare a calcio perché mi muovevo bene, sapevo controllare la palla. Mi piaceva moltissimo, piangevo se non mi facevano andare. In verità è capitato che prendessi qualche brutto voto a scuola. Mia madre, in quel caso, non mi mandava per punizione. E allora piangevo. Piangevo per il calcio". 
 
Quanti anni aveva? 
"Io ho iniziato a quattro anni anche se non si poteva, perché la scuola calcio iniziava a cinque anni all’epoca. Però mio padre conosceva il presidente della scuola calcio di Torre Annunziata, lui ha visto che ero bravo e mi hanno preso". 
 
E poi da lì che è successo? 
"Poi piano piano… Io ho sempre giocato in attacco, ho fatto sempre un sacco di gol. Mi apprezzavano e dunque ho fatto tutta la trafila con la scuola calcio e dopo sono andato a Salerno a giocare con la Salernitana". 
 
Quanti anni aveva? 
"Avevo quattordici anni. Solo che era impegnativo, perché mio padre lavorava, non poteva portarmi. Io facevo avanti e indietro da Torre Annunziata a Salerno, tutto era molto complicato. Infatti l’anno dopo la Salernitana non mi ha voluto più e sono andato a Sorrento. A Sorrento era più facile perché con la Circumvesuviana facevo mezz’ora di treno ed ero lì. Ho fatto tre anni, due campionati regionali e un campionato nazionale con gli allievi e da lì è partito un po’ tutto. Col Sorrento sono andato a giocare con squadre importanti ed ho avuto l’occasione di farmi osservare dal Messina, dall’Inter, dalla Juventus, dal Torino. Proprio in una partita a Torino la Juventus mi ha visto e l’estate del 2006 sono andato da loro". 
 
E come è stato l’impatto con Torino? 
"E’ stato difficile. Una città nuova, diversa, compagni di altre regioni, anche di altre nazioni. All’inizio è stata tosta: andavo a scuola e c’era un pullman che veniva a prendere tutti i ragazzi che venivano da fuori per portarci all’allenamento. C’era poco tempo libero e a noi minorenni non ci facevano uscire, bisognava avere un permesso scritto dai genitori. Era dura. E’ stato un bel sacrificio lì". 
 
Però è stato l’inizio della sua affermazione… 
"Sì, ero in una società importantissima, che mi ha dato l’occasione di poter giocare campionati più importanti e di poter crescere. E’ partito tutto da lì". 
 
Quindi lei gioca nella Primavera della Juventus e vince due volte il trofeo di Viareggio? 
"Sì, il primo anno abbiamo vinto la finale con la Samp 4 a 1 e ho fatto doppietta in finale. L’anno dopo è stato quello del record. Ho segnato dieci gol, ancora non so come ho fatto, e ho vinto il premio come miglior giocatore e capocannoniere". 
 
Ma perché non è mai riuscito a sfondare con la Juventus? 
"All’inizio ci pensavo, stavo facendo bene l’anno di Pescara e potevo avere l’occasione di ritornare. Poi anche in seguito, quando sono andato al Genoa in serie A, a gennaio c’era l’opportunità perché Conte aveva bisogno di un attaccante, solo che il Genoa non ha accettato e quindi ho perso l’occasione. Poi ho giocato nel Torino, lì sono diventato il capocannoniere, e la cosa si è fatta più difficile: stare nella stessa città ma cambiare maglia sarebbe stato complicato quindi sia io che la Juventus abbiamo preso strade diverse»". 
 
La Lazio è il posto dove lei si è trovato meglio? 
"Sì, al pari con il Torino. Anche in granata mi sono trovato bene". 
 
Ventura e Inzaghi sono i due allenatori più importanti della sua vita? 
"Sì, Ventura mi ha lanciato nel calcio vero, quello della serie A. Venivo dal Genoa, dove avevo fatto male, e Ventura, fin dall’inizio, mi ha sempre dato fiducia. Quell’anno ci siamo divertiti, perché io sono stato il capocannoniere del campionato e la squadra ha raggiunto l’Europa League. E’ stata un’annata fantastica. Mister Inzaghi è stato capace di farmi ritrovare la fiducia in me stesso, di farmi essere protagonista nella società, nella città più importante d’Italia. Gli sarò sempre grato". 
 
Mi racconta invece la difficoltà di Dortmund? 
"A Dortmund era difficile vivere, per me. Perché ero da solo, lontano dalla famiglia e non capivo la lingua, ero in difficoltà. Per fortuna in campo c’era l’interprete che stava sempre con me e quando l’allenatore parlava e non capivo spiegava un po’ di situazioni. Però poi fuori dal campo era tutto molto complicato". 
 
Quindi lei si sentiva proprio straniero? 
"Sì, mi sentivo straniero, al cento per cento". 
 
Ad un certo punto i giornali tedeschi hanno cominciato una campagna contro di lei, la Bild e altri, perché? 
"Non lo so, non l’ho mai capito sinceramente. Secondo me era una questione pregiudiziale perché da subito hanno pubblicato degli articoli in cui dicevano “Il Bayern Monaco compra dal Real Madrid e invece il Borussia Dortmund dal Torino”. Non gli sono mai stato simpatico. Forse ce l’hanno con gli italiani dal Mondiale del 2006…". 
 
Invece Siviglia? 
"A Siviglia mi trovavo bene. Rispetto a Dortmund era una bella città, la gente era caliente, un po’ come al sud da noi. Avevamo trovato una bella casa e stavamo molto bene. Lì purtroppo non ero in prima fila nelle gerarchie dell’allenatore e non ho avuto la possibilità di esprimermi al meglio. Alla fine ho solo chiesto di poter andare via, perché lì non mi sentivo tecnicamente a mio agio". 
 
Ma dopo queste due delusioni lei ha avuto mai la sensazione di non farcela ? 
"No, ho sempre pensato che non piacere ad un allenatore non significa non piacere a tutti gli altri. Posso sempre dimostrare che quell’allenatore si sbaglia. La mia forza è stata quella di poter dire: non piaccio a Emery? Mi metto l’anima in pace,non fa niente, tanto non è che lui allena tutte le squadre. Ci sarà un altro allenatore a cui piaccio. Infatti è arrivato Inzaghi e ha risolto tutto". 
 
Con Zeman come si è trovato? 
"Con Zeman molto bene. Anche fuori dal campo: un maestro di vita molto simpatico, molto alla mano, diverso da come si vede in tv". 
 
Lei pensa che l’Italia ce la farà a qualificarsi ? 
"Io penso di sì. Noi abbiamo un allenatore che ha delle idee importanti, solo che ha bisogno di tempo e noi ne abbiamo purtroppo poco. Ci vediamo solamente ogni dieci giorni quindi non è semplice diventare una squadra nel senso pieno del termine. Però siamo consapevoli della forza del nostro gruppo. Sappiamo che c’è da passare per questi play off. Sarà dura, ma credo che ce la faremo". 
 
Chi è il difensore più tosto che lei ha incontrato? 
"Credo Chiellini. Quei tre: Bonucci, Chiellini, Barzagli erano insuperabili". 
 
La Lazio dove può arrivare? 
"La Lazio sta disputando un campionato di vertice. Adesso non ci possiamo più nascondere, stiamo facendo un campionato importante quindi dobbiamo proseguire, non dobbiamo perdere il passo con quelle avanti. Sicuramente non saremo al livello della Juve e del Napoli, però passo dopo passo, cerchiamo di avvicinarci…". 
 
Lei lo ricorda il momento in cui ha lasciato casa e ha preso il treno per andare a Torino? 
"Sono andato con l’aereo per firmare con i miei genitori; era la prima volta che i miei lo prendevano, per una questione così importante mia madre ha sconfitto le paure ed è venuta. Poi loro sono tornati a casa, mi hanno lasciato lì. Ho ancora l’immagine di mamma e papà che prendono un taxi per la stazione e io che resto solo davanti alla porta del convitto". 
 
Che cosa è per lei un gol? 
"Una soddisfazione grande, perché lavoro tutta la settimana per poter raggiungere il mio obiettivo. E l’obiettivo, visto che faccio l’attaccante, è segnare. Se ci riesco vuol dire che ho lavorato bene". 
 
Come spiegherebbe ad un bambino di Torre Annunziata che gioca a casa con la palla fatta con i giornali che cosa è il calcio ? 
"Per me la sensazione più bella è quando altre persone sono felici per quello che tu stai realizzando. Allora ti senti veramente soddisfatto. A me piace quando la gente si diverte e gioisce per quello che stiamo facendo in campo. Che è frutto di lavoro e sacrifici. Ecco, questo è il calcio. Tutto questo è il calcio".