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Si sfidavano a colpi di ribollita, bistecca alla Fiorentina, e cannelloni alla Mirella. A non mancare mai erano, come entrée, i fagioli con tanto pepe, sale e olio di quello buono. Tutti e tre concludevano, secondo tradizione, con un bicchierino di Vinsanto nel quale potevi inzuppare i cantuccini e per mandare giù il tutto un caffè forte alla livornese. Due di loro non ci sono più: Mauro, che se n’ andato due anni fa e Ilio, che ci ha lasciati due giorni fa. Resiste ancora, e ci auguriamo per tanto tempo, il mitico Urbani ma ora è di Ilio che vogliamo e dobbiamo parlare. Chef stellato, anche se non per la Michelin o per il Gambero Rosso. Le sue stelle molte più di quelle che avrebbero potuto dargli i critici di cucina gliele aveva cucite sul petto la Juventus in particolare.

La squadra che lui, ristoratore pisano, ha “sfamato” per almeno tre-quattro generazioni di giocatori e due di dirigenza. Aveva iniziato la sua attività, arrivando dalla Toscana, come tutti i più classici e bravi cuochi d’Italia in borgo San Salvario. Un quartiere storico e, diciamolo, anche un pochino “pericoloso” di Torino. Era il milieu della città dove brulicavano sani furfanti che non usavano mai la pistola ma solo l’intelligenza per gabbare il prossimo. Cantautori come Farassino e storiche puttane. Proprio come quelle di De André. Oggi non ci sono più tutte queste figure. Ma non c’è più neanche Ilio che tutti i giorni all’ora di pranzo ospitava soprattutto i dirigenti della Juventus. Boniperti in primis, ma soprattutto Moggi e Giraudo. A loro si accomunava talvolta Luca di Montezemolo e tutta quella “fauna” bianconera che sapeva di trovare nel ristorante “Ai due mondi” una casa particolare.

Lui, Ilio, condiva ogni suo piatto con la sua fede e fedeltà bianconera. Neppure quando decise, stanco di stare in cucina, di lasciare il campo a gente più giovane e con idee culinarie differenti dalla sue aveva abbandonato la Juve. Infatti, ne era diventato il cuoco “vagabondo”, insieme con tutti i giocatori, per ciascuna trasferta che le varie squadre che si succedettero nel tempo giravano l’Italia, l’Europa e il Mondo. Era anche un portafortuna per la Juve. Così lo aveva ribattezzato Moggi che se non mangiava da lui, da altri proprio non andava. Preferiva starsene a casa sua o nel residence dove abitava. Qui, ai due Mondi, Lucianone aveva addirittura inaugurato un privée tutto dedicato solamente alla gente bianconera e a quegli ospiti che arrivavano anche per discutere affari clamorosi di compravendita. Lui, Moggi, ordinava i piatti e Ilio, con i suoi vini della campagna toscana e i suoi Champagne di annata provvedeva non a stordire ma fare in modo che quegli appuntamenti di lavoro fossero anche molto allegri.

Ora però dobbiamo anche dire di Mauro e di Urbani, anche loro ristoratori del calcio torinese. Urbani in particolare, altopascino di provenienza, era un profondo granata. Un ambiente completamente diverso. Volutamente più popolare e addirittura popolano. Appena a 200 metri da Ilio, verso la stazione di Porta Nuova. Qui dalle ore 13, in avanti fino al pomeriggio, si riunivano in un tavolaccio unico e lunghissimo calciatori, dirigenti e giornalisti granata e a volte anche qualche arbitro. Diciamolo pure con franchezza. Questo era il tempio del Toro, che nessuno mai pensò di disattendere o mortificare, dissacrandolo.

Poi c’era Mauro. Era l’amico di tutti i giocatori, quasi il papà. Era in un’altra zona di Torino, più in centro, verso la Mole Antonelliana. Da lui Domenico Marocchino era il cocco di tutti quanti, anche dei clienti, e qui Paolo Rossi e Vinicio Verza facevano innamorare le cameriere. Nel suo locale, dove Mauro dava ordini e la sua unica e instancabile moglie faceva di conto, il meglio della gioventù bianconera mangiava il pranzo dopo essersi allenata al vecchio campo Combi. Ma qui venivano anche Giampiero Boniperti, Gaetano Scirea e Dino Zoff con le rispettive mogli, per loro Mauro riservava uno spazio a parte, che non era una stanza ma una specie di anfratto nel locale da dove da fuori si potevano solo intravedere i visi delle persone.

Come dicevamo all’inizio, nessuno vinceva perché vincevano tutti. La Fiorentina di Ilio, la ribollita di Urbani e i mitici Cannelloni alla Mirella di Mauro. Ora ne è rimasto uno solo. Ma i tempi sono profondamente cambiati, giocatori e dirigenti anche. Oggi, probabilmente preferiscono il sushi o qualche bistecca alla texana. Perché il calcio di oggi è diventato quello lì. Ma quanti profumi e quanta malinconia percorrendo le strada del cibo bianconero con qualche spruzzatina di grana qua e là.