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Le dichiarazioni del dopo Benevento (partita che ratifica una crisi in atto) di Pirlo, Paratici e Nedved, hanno tre punti in comune. Il primo è l’assenza di una sia pur velata autocritica (sulla campagna acquisti, sulle ultime esibizioni internazionali, sul campionato ormai andato, sulla qualità del gioco…). Il secondo è la conferma di Pirlo, del suo progetto, del “guardare avanti” col coraggio d’un cambio di mentalità. Il terzo un richiamo all’orgoglio: ai nove scudetti vinti, alle Supercoppe, alle coppe Italia, alle finali di Champions. Nedved parla di suo figlio bambino che andava alle elementari con lo scudetto sulla maglia e oggi “guida l’auto con lo scudetto sulla maglia!”.

Si tratta probabilmente  - come si dice - di elaborare il lutto, di tenere salda la barra in acque agitate e di ribadire che la Juve è una squadra con una sua fermezza, non certo incline a liquidare gli allenatori a causa di qualche colpo di vento avverso. Sostenere Pirlo, però, non significa solo questo. Vuol dire sostenere anche se stessi. Da quando se ne andato Marotta (qualche responsabilità sul prolungamento dei contratti ce l’ha) che non voleva Ronaldo, la barca bianconera s’è inclinata. Il dopo Allegri non ha ottenuto i risultati sperati e il rinnovamento non si vede. Si può mandare via Pirlo, tenere questa rosa (bizzarramente definita, a scanso dell’ evidenza, “fortissima”) e mantenere questa dirigenza?

No, non si può. Diversamente da quanto avvenuto con Sarri, il trio Pirlo-Paratici-Nedved è unitissimo per una ragione molto semplice: tutti possono criticarsi l’un l’altro. Pirlo per non essere pronto a gestire giocatori e tradurre in realtà le sue idee, il duo dirigenziale per aver sbagliato campagna acquisti in due anni di seguito e messo a disposizione dell’allenatore una squadra poco credibile. Ecco quindi che più di strategia dell’equilibrio si può parlare di strategia della staticità: se si rompe un pezzo vien giù tutta la cattedrale, con probabile caduta anche del Presidente. I conti, poi, rendono la situazione ancora più precaria. Quindi, il messaggio è andare avanti, tenere botta. Al massimo sperare che i giocatori imparino a  gestire il gioco da dietro, muovendosi senza la palla, ma tanto di più è difficile ipotizzare.

Questa è l’aria che tira oggi, con almeno un quarto posto da raggiungere e relativa Champions. Se non si riuscisse a ottenere nemmeno questo, allora tutte le suddette dichiarazioni (la fiducia, il progetto, il calcio nuovo, Andrea, i nove scudetti, il più grande giocatore del mondo…) verrebbero spazzate via da un nuovo vento: un vento che passa e non sa leggere.