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E’ la storia di un outsider. La storia di un ragazzino che arriva da un piccolo paese del’Emilia, che comincia a giocare quasi per caso e che arriva ad allenarsi con gli idoli di sempre. E’ anche, però, la storia di una famiglia che gli è sempre stata al fianco, di chi ha fatto quotidianamente sacrifici. Sì, perché giocare nel settore giovanile di una squadra come la Juventus è un sogno che si realizza, ma rimanerci richiede sforzi che troppo spesso si dimenticano, sforzi a cui è chiamato in primis il ragazzo, ma non solo.
 
E’ la storia di Riccardo Turicchia, esterno sinistro classe 2003 in forza alla Juventus 2003 e a raccontarcela – lo ringraziamo per la disponibilità -, è stato il padre Davide.
 
 
Siete una famiglia appassionata al calcio? Come comincia Riccardo a giocare?
 
“Appassionati lo siamo sempre stati. Io sono di Bologna ma tifavo Fiorentina: quando giocavamo da ragazzini per strada, ognuno prendeva un calciatore, c’erano i Rivera, ecc…. Io ero sempre ultimo e prendevo Antognoni, così è nato il tifo moderato per la Fiorentina, ma adesso sono juventino! Io facevo anche altri sport, a pallone ho giocato per strada. Per Riccardo da ragazzino avrei voluto che giocasse a pallacanestro. Arriviamo da un paese piccolo, è nato a Borgo Tossignano che sta sopra Imola, un paese di 3000 abitanti. Ha iniziato a 4 anni e mezzo, l’ho portato in palestra in una Scuola calcio che allora si chiamava Borgo Tossignano, oggi Valsanterno. L’allenatore mi disse: è molto piccolo, lascialo, se non prende la palla con le mani lo puoi lasciare, era il più piccolino, giocava con i 2002, 2001. Quando tornai a prenderlo era andata bene, non aveva preso il pallone con le mani! Correva dietro al pallone, penso che per i primi 4-5 mesi il pallone non l’abbia preso. Ogni tanto prendeva un colpo, cascava a terra, poi ripartiva a correre dietro il pallone. Dopo la Scuola calcio, facendo un camp, al primo giorno l’allora direttore sportivo dell’Imolese ci chiede se lo volevamo portare a Imola. Lo portammo e lì ha fatto 4 anni, faceva tantissimi gol, anche con i più grandi. Atleticamente è sempre stato molto forte, faceva quasi tutto lui. Andammo poi a Cesena e siamo rimasti 4 anni. Una delle piazze più formative per lui, hanno sempre la palla tra i piedi, la parte atletica sempre fatta in campo con il pallone”.
 
Dopo qualche anno dalla palestra di Borgo Tossignano, arriva la Juventus. Come è stato l’approccio e cosa vi ha convinto a vestire la maglia bianconera?
 
“Riccardo è juventino, io gli facevo vedere i filmati di Zidane. Tra il fatto che la Juve vinceva sempre e le giocate di Zidane, si è appassionato. Un primo contatto c’è stato al primo anno di Nazionale, in Under 15, ma lo seguivano da prima. Incontrai un emissario della Juve, si presentò e mi disse che stavano seguendo mio figlio e che volevano portarlo a Torino. In quel momento, però, i rapporti con il Cesena non erano ottimali e non se ne fece niente. Riccardo aveva intuito qualcosa e ci rimase un po’ male, aveva paura che tutto saltasse, un anno è lungo e tutto può cambiare. Ad un raduno della Nazionale lo stesso dirigente Juve mi rivelò che stavano continuando a seguirlo e che gli stavano tenendo il posto e a giugno non ci sarebbero stati problemi. In estate mi chiamarono per dirmi che la Juve si era fatta avanti per chiudere l’acquisto, Riccardo era di fronte a me e sentiva tutto. Quando misi giù si era accorto di tutto, fece un urlo incredibile e si mise a piangere. Pensavo non se la sentisse, gli ho chiesto: ma ci vuoi andare? Certo, stava piangendo di gioia. Prima volta nella vita che ho visto una cosa così”.
 
E il primo impatto con Torino e la Juve?
 
“Andammo a vedere il convitto con la scuola dentro, stile college americano. Rispetto ad altri convitti di altre società blasonate era un bel posto. A luglio lo portammo su, ci dissero di non lasciarlo e basta, di arrivare prima, stare una notte insieme e poi salutarsi. Quando ci salutammo non si girò indietro, non ha detto niente ma sicuramente aveva un po’ di malinconia come noi. Mi raccontò solo che alla sera nel letto un po’ di nostalgia c’era, ma poi entrato in campo tutto era a posto. Poi in un gruppo, i 2003, ce era davvero forte”.
 
Ci sono due highlights della sua esperienza in Primavera: il gol al Benfica in semifinale di Youth League e il premio come meglio terzino sinistro del campionato. Cosa avete provato e come è andata l’esperienza nell’Under 19?
 
“Da quando Riccardo gioca alla Juve le abbiamo viste praticamente tutte, con mia moglie. Ho cambiato due auto, fatto migliaia di chilometri. Al primo anno di Primavera, l’impatto era stato forte, aveva un po’ subìto perché Bonatti è un allenatore passionale e tosto. Lui, però, era riuscito a ritagliarsi il suo spazio. Al secondo anno era più dentro la squadra. Siamo andati a Nyon, qualcosa di incredibile. Per lui una delle prime partite di questo tipo. Gli altri, da ragazzini avevano avuto esperienze importanti anche all’estero, tornei importanti, lui venendo da società piccole non aveva mai vinto niente come squadra. In questo stadio, praticamente pieno, è stato per lui e per noi un’emozione incredibile. Quando l’ho visto entrare e giocare, però, sembrava molto sicuro, dentro la partita. Dopo il gol di Chibozo c’è un’immagine dove si vede che incita la squadra. Incredibile perché lui, un anno prima, un gol del genere non l’avrebbe mai fatto. Io e mia moglie ci siamo commossi, qualcosa di incredibile. Il premio? C’é stata una grande emozione e soddisfazione per questo premio. Quando lo abbiamo visto in Tv entrare sorridendo in studio, a suo agio nelle risposte alle domande in giacca e cravatta abbiamo pensato che il bimbo che correva al parco era cresciuto. Merito suo e di una società’ come la Juve e di tutte le persone, allenatori, staff e compagni che lo hanno accompagnato in questi anni”.
 
Qual è stato il ruolo di mister Bonatti per Riccardo?
 
“E’ stato importantissimo. Riccardo fin da ragazzino è una persona generosa, se c’è da sacrificarsi non si tira indietro. L’impatto con Bonatti si è fatto sentire, Riccardo è una persona riservata, che sta sulle sue, e Bonatti è l’opposto. Mi raccontava che contro l’Empoli ha preso una cazziata nello spogliatoio, davanti a tutti ed era rimasto un po’ così. Alla fine, però, si è preso in maniera incredibile, forse più degli altri. L’impatto che ha avuto al secondo anno è merito di Bonatti, ormai si conoscevano e sapeva cosa voleva da lui. Come Bonatti è stato importante anche l’allenatore che aveva il Cesena, Abbondanza, che caratterialmente era simile”.
 
Per quel che riguarda il gruppo 2003, ti saresti immaginato questi exploit?
 
“Miretti lo vidi giocare in un raduno della Nazionale. Un biondino che in mezzo al campo dribblava tutti, da lui me lo sarei aspettato. Ai colleghi che fanno il fantacalcio avevo consigliato di prenderlo. Iling è molto forte fisicamente e ha un sinistro incredibile, si è fatto vedere più quest’anno che nel secondo con la Primavera. Soulé è forte, ma non mi sarei aspettato andasse dritto in prima squadra, ma ci può stare. La Juve come settore giovanile ha un bel tesoretto da qui in avanti”.
 
Quali sono state le difficoltà nel salto dalla Primavera alla Next Gen, al calcio professionistico?
 
“Il salto più grosso è stato, per Riccardo ma penso anche per altri ragazzi, dall’Under 17 alla Primavera. E’ tosta, giochi con i più grandi, cambia l’intensità, lo scontro fisico. Dopo due anni di Primavera fatti così, in Riccardo ho visto un impatto diverso al passaggio in Next Gen, mi è sembrato molto più dentro. Il passaggio è meno traumatico. Le squadre di Serie A dovrebbero avere una seconda squadra”.
 
Un altro momento importante è stato il rinnovo di contratto, fino al 2025. Cosa ha significato per voi?
 
“Una cosa importante. Riccardo arriva da un paesino di 3000 persone, arrivare a Torino, in una società come la Juve, dove rimangono quelli su cui si punta, fare il quinto anno lì e arrivare al rinnovo fino al 2025, è stata una cosa incredibile. Siamo orgogliosi di Riccardo perché ha fatto tutto da solo, in mezzo a tutti questi 2003, a questi ragazzi forti come lui, ritagliarsi un suo spazio che l’ha portato ad essere ancora lì. E’ stato contentissimo, noi pure perché dopo tanti anni di sacrifici…”.
 
In questa stagione, ma anche in precedenza, ha avuto diverse occasioni per allenarsi con la Prima squadra. Che tipo di esperienza è stata? C’è qualche aneddoto da raccontare?
 
“E’ una grande soddisfazione, si confronta con giocatori internazionali, di grande tecnica e personalità. Tipo Pogba, lo vedevamo sul divano, lui era piccolino e aveva il pallone della Juve sotto il braccio. Mi ha raccontato, le ultime volte doveva marcare Chiesa e mi ha semplicemente detto: è immarcabile! Hanno un passo incredibile a cui ti devi abituare. Di Cristiano Ronaldo mi ha detto che era una statua e Di Maria ha un’eleganza quando gioca che è incredibile. A chi si ispira? Cerca di prendere spunto da tutti”.