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Urbano Cairo, presidente del Toro, dichiara – a margine dell’ultimo derby della Mole - che esiste ancora la sudditanza arbitrale (verso la Juve, lo aggiungo io) e viene deferito. Giusto.
Enrico Preziosi, presidente del Genoa, dice - dopo Roma-Genoa - che l’arbitro Di Bello è un uomo in malafede e non dovrebbe più dirigere partite di calcio, e viene deferito. Giusto.

Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, prima ancora che si giochi Inter-Napoli afferma candidamente che l’arbitro Mazzoleni è un arbitro cattivo e imparziale (“speriamo si comporti bene”), quindi non avrebbe dovuto essere designato per quella partita, e non gli succede nulla.  Ha pure aggiunto che il VAR sembra studiato per aiutare qualcuno (Juventus, lo aggiungo sempre io). Zero.
Eppure di tempo, per potere approfondire meglio le indagini (come se fosse indispensabile un’inchiesta ad hoc per uno che fa dichiarazioni apertis verbis di questa gravità …mah), n’è trascorso a sufficienza, oltre una quindicina di giorni, ma non si muove foglia.

Facciamo un veloce rewind delle parole di ADL: “Mazzoleni mi preoccupa, con noi (Napoli, ndr) è sempre stato cattivo, e non imparziale. Mi raccomando, comportatevi da persone perbene. Il VAR è stato inserito per tutelare anche gli investimenti, non immaginavo potesse diventare un ulteriore strumento in mano agli arbitri, che sono finanziati da noi. Dovrebbe esserci la capacità di essere equidistanti (…) altrimenti rimangono i dubbi su un sistema che può indirizzare l’acqua a certi mulini”.
Davvero nulla da eccepire sul contenuto di queste dichiarazioni? Niente, niente?
La domanda va girata sempre al solito indirizzo (via Gregorio Allegri 14, Roma),al solito ufficio (Procura Federale), alla solita persona (il procuratore federale). Sempre la stessa, Giuseppe Pecoraro. 
Colui che, per incastrare, Andrea Agnelli nell’inchiesta sui rapporti Juve/N’drangheta presentò un’intercettazione farlocca del presidente juventino, poi sparita, e sull’esistenza della quale, pare, non informò nemmeno la Commissione Antimafia durante la sua audizione. E sempre lui propose alla Juventus un baratto pecuniario per chiudere la vicenda, risoltasi poi da sola in sede d’appello alla Corte Federale. Un’inchiesta, quella operata dalla FIGC, con tante ombre e mai chiarita del tutto.

Una cosa, invece, è chiara, come il sole che ne illumina il golfo: Pecoraro tifa Napoli. Per sua stessa pubblica ammissione durante una partecipazione a “Sottovoce”, la rubrica serale di Gigi Marzullo in onda di notte su RaiUno. Era la prima settimana di febbraio dello scorso anno e, in piena corsa-scudetto, il procuratore federale si augurò che il tricolore finisse a Napoli. Palesando una partigianeria che, diciamo così, stona un tantino col ruolo istituzionale rivestito dalla persona in questione.

Perché poi a pensar male ci si impiega davvero poco, per esempio quando, per analoghe dichiarazioni lesive della reputazione degli arbitri, qualcuno paga e altri no. Guarda caso, il presidente del club per il quale tifa il procuratore FIGC.

E’ peggio dire che un direttore di gara è suddito di altre squadre, che arbitra in malafede, o che è imparziale?  Di sicuro non sono degli ossimori, ma dei sinonimi. O forse, oltre già al codice di diritto sportivo, anche il vocabolario utilizzato presso la procura federale si differenzia da quelli comunemente utilizzati dalla gente comune?
E ancora, non è più grave sostenere che le decisioni prese col VAR favoriscono subdolamente qualcuno, anziché limitarsi a dire che il VAR andrebbe usato più spesso?

Pecoraro ce lo dovrebbe spiegare, e invece, come sempre, tace. Sui propri atti, sulle sue decisioni preferisce mantenere la massima riservatezza. Solo sulla fede calcistica non ha segreti. E questo è il guaio…