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C'è un mondo, come quello calcistico, che supera la sua naturale concezione di sport. Il calcio è un'industria e, come sempre per chi produce, la vera mole produttiva si quantifica non appena tutto si ferma. Già, perché i soldi del calcio, come riporta Il Corriere dello Sport, non fanno bene solo al calcio. Con un giro di affari da 3 miliardi, infatti, il pallone ha dimostrato di essere un fattore importante per l'economia del nostro paese: un pesto specifico che, ad esempio, per le casse dello Stato italiano si traduce in contributi. Tasse che, in quanto tali, servono ovviamente al funzionamento di tutta la nazione:  e così, si cominciano a fare i calcoli, su cosa voglia dire un paese senza calcio, almeno per il momento. 

E la risposta, si misura a suon di milioni, come i 742 milioni di contributi che, stando alla stagione 2017-18, il calcio ha portato nelle casse dello Stato. D'altronde, il valore di questo sport è andato in crescendo negli ultimi trent'anni, passando dai 455 milioni di giro d'affari nel '91 ai sopracitati 3 miliardi di oggi. Un vero e proprio boom, che vien difficile pensare che si possa fermare, anche solo per poco, anche solo in una situazione per tutti allarmante. 

E a trascinare questo carro, senza dubbio in Italia, c'è anche la Juventus. I bianconeri sono tra le società che, più di tutte, stanno pagando a caro prezzo l'emergenza coronavirus. I numeri che lo dimostrano, sono quelli di Piazza Affari, che proprio non sorridono ai bianconeri. Questa mattina si è aperta con un leggero segno positivo (4,91%), ma proprio ieri il valore del titolo ha toccato il minimo dall'inizio dell'anno (0,67). Una caduta verticale, che nell'ultimo mese conta un calo del ​-37,54%: dati inquietanti, che si collegano anche ai problemi di rapporto spese/ricavi squilibrato, come conclamato prima del coronavirus, ma che da esso oggi risultano dipendere.