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Hanno vinto i forcaioli e gli avventurieri. Ha trionfato il partito della pancia ed è stato mortificato quello del buon senso e della ragione. Il presidente Andrea Agnelli ha perso e, fino a prova contraria, ha dimostrato di non essere coerente con se stesso e con il suo interlocutore poiché aveva affermato pubblicamente di non voler rinunciare all’uomo il quale aveva portato la Juventus a vincere cinque scudetti di fila. Per poter rimediare, evitando un salto nel buio, il patron bianconero ha una sola strada da seguire. Quella che porterebbe all’ingaggio di Guardiola per l’apertura seria e concreta di un ciclo altrettanto produttivo e forse ancora di più di quello appena concluso. In caso contrario, almeno così la vedo personalmente, per la Juventus si prepara un futuro perlomeno problematico.

So perfettamente che in questo momento di ufficializzazione del divorzio tra Allegri e la società bianconera la maggioranza della tifoseria juventina starà brindando per salutare con gioia un evento non storico forse ma certamente nevralgico il quale potrà partorire sia vantaggi e sia danni. Questo nessuno può saperlo, naturalmente, ma francamente occorrerebbe andare piano con l’entusiasmo perché al di là delle simpatie o antipatie individuali vi è un dato incontrovertibile da tenere bene in mente. Mai nessun allenatore, né alla Juve e neppure da altre parti, ha realizzato l’impresa riuscita a Massimiliano Allegri. E, almeno per questo, domenica all’Allianz sarebbe cosa buona e giusta rendere al tecnico livornese il legittimo e dovuto ringraziamento. Il minimo anche se sostanzialmente inutile e formale.

Volendo scomodare la Storia antica, l’impressione è che il “caso Allegri” sia rapportabile, con i necessari distinguo, a ciò che accadde alle idi di marzo allorché Giulio Cesare venne giustiziato nei pressi del Senato per mano dei congiurati tra i quali c’era anche il suo figlioccio Bruto. Così come fece Antonio davanti alle spoglie del dittatore, mi verrebbe da ripetere l’orazione funebre dietro la quale si nascondeva un attacco al mandante di quel delitto definito ironicamente un “uomo d’onore”. Da quel giorno ebbe inizio lo smembramento del più grande impero che il mondo avesse mai visto. Da quel momento anche le più lodevoli “fantasie rivoluzionarie” di coloro i quali avevano tramato contro il “tiranno” sarebbero naufragate nel mare in tempesta della confusione. Il ruolo di Allegri, naturalmente, non è stato così pesante da dover essere giudicato come irrinunciabile. Però la sgradevolezza di ciò che è accaduto non sta nel prendere atto che “morto un Papa se ne fa un altro” ma nel fatto che ad avere avuto la meglio sono stati i “consiglieri” Nedved e Paratici anziché Andrea Agnelli.

Interpretare il futuro con un occhio sempre ben vigile e puntato sul passato dovrebbe rappresentare la regola cardine per ciascun imprenditore illuminato e con i nevi saldi. Agnelli, mantenendo la parola originale, avrebbe potuto affiancare la sua figura a quella del presidente dei presidenti Giampiero Boniperti il quale mantenne al suo posto per dieci stagioni Giovanni Trapattoni. Anche lui allenatore rocchiano e difensivista ma soltanto più simpatico e quindi popolare di Allegri. Non è accaduto e ora lo stesso Agnelli ha soltanto una possibilità per rimediare dando un senso di reale cambiamento alla “rivoluzione” per il momento soltanto immaginate. Portare Guardiola alla Juve (nonostante le recenti dichiarazioni dello stesso Pep). Il resto sarebbe solo noia.