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Se il Contismo è un programma da installare rapido ed efficace, il Sarrismo è un corteggiamento lento, ammaliante. E prima di tutto mentale. Il Sarrismo è un’esperienza cognitiva, forse addirittura platonica. In vista di Inter-Juve (domenica sera, ore 20:45), abbiamo provato a raccogliere e identificare la cifra stilistica del gioco di Conte, poi l’ abbiamo confrontata con quella di Maurizio Sarri. Quale dei due è il modello più evoluto? È possibile trovare una risposta se i due stili sono tanto differenti? Diventa soltanto una questione di gusti?   
 
CONTE: DAL 3-5-2 AL 3-3-4 – Partiamo dunque da Conte. Fu proprio alla Juventus che il mitico Antonio passò dall’amato 4-2-4 al 3-5-2, il modulo che ripropone, seppur aggiornato, anche oggi nell’Inter. Allora doveva proteggere Pirlo, senza rinunciare tuttavia alle due punte e alla copertura dell’ampiezza garantita dai due esterni del 4-2-4. Nacque un 3-5-2 con i ‘quinti’ altissimi e coi piedi sulla linea del fallo laterale (massima ampiezza). Era una novità nel panorama italiano, un sistema che sapeva essere tradizionale (ripiegamento difensivo 5-3-2) e al contempo spregiudicato: ancora oggi, di fatto, lo sviluppo offensivo delle squadre di Conte tende ad avvicinarsi a una specie di 3-3-4.  Guardate come stanno larghe qui sotto le mezzali. Questo avviene per dare ai centrali in costruzione appoggio laterale certamente, ma anche per creare ampi corridoi dove scendono incontro le punte.



Un 3-3-4, tra l’altro, reso ancora più offensivo dagli inserimenti a sorpresa di mezzali molto dinamiche.
 
SCHEMI FERREI – Ciò che tuttavia rende il Contismo un programma duro e puro sono le cosiddette giocate ‘a memoria’. Gli schemi. Conte ha spinto al massimo, portandolo quasi alla perfezione, un certo calcio di fine Novecento. Quel calcio in cui i giocatori, oppressi dalla velocità e dall’intensità raggiunta dal gioco, venivano aiutati attraverso le codifiche impartite dagli allenatori. Gli schemi.



Ecco una variante tipica del gioco di Conte ad inizio manovra: la palla al quinto larghissimo che di prima intenzione ricerca in diagonale la punta più lontana (Candreva per Lautaro ad esempio, vedi sotto). Un tempo non utilizzava questa mediazione della mezzala (sopra, Gagliardini), che possiamo considerare a tutti gli effetti come una sorta di aggiornamento interessante. Sì, perché se il quinto sta ‘alto’ in partenza sul rinvio del portiere, tra il laterale stesso e il centrale si crea un vuoto lungo la catena, che può essere sfruttato in costruzione e per ‘attirare’ un avversario in pressione. Così il pallone non arriva più direttamente al laterale ma attraverso il passaggio intermedio della mezzala, scesa e apertasi lungo l’out.   



Questo schema si completa grazie al gioco a due delle punte, che devono porsi in diagonale rispetto alla provenienza del pallone, ovvero sulla diagonale del passaggio del laterale (in questo caso Candreva, ma lo stesso discorso vale anche per la catena di sinistra). La punta più vicina va incontro, vela e attacca la profondità. Quella più lontana, possibilmente sempre di prima, serve il compagno di reparto sulla corsa. I centrali avversari tendono spesso ad abboccare, specialmente quando vogliono essere aggressivi in marcatura.   



Lo stesso giochino può essere fatto a partire dal piede di un giocatore diverso: non il laterale bensì ad esempio la mezzala larga. Sensi lo fa a sinistra a piede invertito, i vari Barella e Gagliardini col piede forte sulla destra. Nel caso qui sotto si notano nuovamente le due punte in diagonale rispetto alla fonte del passaggio (Sanchez fa l’esca, Lautaro è l’obiettivo reale della trasmissione), con una variante però: il laterale Candreva, non coinvolto in quanto non autore del passaggio, stavolta può accentrarsi e attaccare a sorpresa pure lui la profondità, sulla girata di prima di Lautaro.   



I COMPITI E LE LIBERTÀ DI SENSI – Contro l’ Udinese, nell’azione dell’1-0, all’impianto sopra descritto (due punte in diagonale ecc..), si è aggiunto l’inserimento della mezzala opposta, mentre Godin avanzava palla al piede in proiezione. Un inserimento ‘alla Conte’, eseguito da un giocatore alto 1,68 m, e premiato dal cross preciso dell’uruguaiano.



Sensi è la mezzala di qualità, il doppio regista dell’Inter. Utilissimo in fase di palleggio (uno dei centrocampisti più intelligenti in circolazione), in realtà agisce anche da trequartista. Quando i nerazzurri sono senza palla contro un avversario che schiera il vertice basso (come fa la Juve con Pjanic), la squadra di Conte tende a modellarsi su un 3-4-1-2. E di solito è Sensi che va a infastidire il regista opposto. Poi a riconquista avvenuta, il piccoletto di Urbino è abile a farsi trovare anche tra le linee, fungendo da raccordo tra i reparti più avanzati. È lui il giocatore che maggiormente interpreta gli schemi. È lui il cervello, ancor più di costruttori di gioco quali Brozovic e Skriniar, che invece svolgono mansioni più rigide e definite.      
 
SARRISMO È ACQUA– A fronte di tutto ciò, cos’è il Sarrismo? Cosa gli resta da essere? Fondamentalmente ed essenzialmente il contrario. Non schemi ferrei ma principi liquidi. Nel gioco di Sarri i giocatori (e con loro i loro passaggi) sono fluidi. Occupano i vuoti delle strutture avversarie. E comunicano tra loro mentre la struttura rivale si adatta, reagisce. Non avrebbe senso probabilmente fare un elenco di giocate predefinite, codificate, riproducibili, come è stato fatto prima per il gioco di Conte. L’acqua sfugge tra le dita, non può essere afferrata. Così mi servirò di una sequenza particolarmente bella, e una vi basti a rappresentare anche le altre possibili. Una sequenza bella e perduta, non riproducibile.



Questa azione contro il Brescia (la miglior partita della Juve finora, a detta di Sarri) è governata dalla ricerca insistita del ‘tercer hombre’ (il terzo uomo) e dalla formazione dinamica e consecutiva di triangoli. Potremmo parlare quasi di concatenamento. Sulla fascia destra la Juve crea densità in zona palla, con Dybala che scende a smarcarsi e a palleggiare tra le linee. Dapprima si crea un triangolo esterno potenziale formato da Cuadrado-Khedira-Dybala. Poi però la struttura del Brescia viene infilata verso il centro tramite la ricerca di Pjanic (‘tercer hombre’ rispetto a Cuadrado): secondo triangolo. Da qui il bosniaco, sempre di prima e con un passaggio diagonale serve Ramsey, ‘tercer hombre’ rispetto a Dybala, che a sua volta si ri-offre in verticale (senza palla) per creare una nuova triangolazione.   



Ed ecco che la Joya è diventato il terzo uomo rispetto a Pjanic, grazie alla giocata di prima del trequartista. Ora Dybala si trova di fronte alla sola retroguardia del Brescia, dopo aver tagliato fuori col fraseggio e insieme ai compagni tutta la mediana delle rondinelle.



Higuain lo capisce e detta il passaggio al dieci scattando in profondità. Un altro terzo uomo, se ci pensate, un ultimo triangolo. Ecco, una bellezza simile è senza dubbio più evoluta rispetto a quella proposta da Conte. Vedremo tuttavia se saprà essere anche altrettanto vincente. Solito discorso.