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“Alla fine, dopo tanto rumore per nulla, chi ci guadagna è sempre la Juventus!” Rischia di essere questa la morale della polemica, che ha visto alcuni politici scagliarsi contri l’ipotesi di un prestito a FCA Italia. Converrà andare con ordine. E’ abbastanza ragionevole fidarsi dei dati che segnalano come, in due mesi di pandemia, il mercato dell’automobile sia stato pesantemente danneggiato. FCA Italia, in particolare, presenta un calo di vendite pari al 90% in meno rispetto all’ anno scorso. Per questa ragione, la stessa FCA Italia ha chiesto un prestito a Banca Intesa, con tassi agevolati, garantito al 70 (o 80%: è in discussione) dallo Stato.

Rientra nella strategia che il Decreto Salva Italia si prefigge per tutte le aziende italiane in crisi. Il prestito, infatti, serve a FCA Italia per pagare i circa 350 mila addetti delle varie imprese dell’indotto che concorrono all’industria dell’auto italiana e che rischiano grosso perché la ripresa non sarà facile né immediata. Per “sveltire” (elemento essenziale, poiché pare che banche e burocrazia rallentino assai i tempi) le pratiche di pagamento, Banca Intesa e FCA Italia stanno mettendo a punto un protocollo: le piccole imprese riceverebbero direttamente i pagamenti con conti correnti dedicati, mentre la casa automobilistica garantirebbe la restituzione del prestito, con interessi, in tre anni. E’, in altre modalità, quanto fece Marchionne con Obama, rilevando la statunitense Chrysler in piena crisi: il governo USA prestò la cifra necessaria all’ acquisto a fronte di interessi. Fu l’inizio della riscossa di una FIAT allora sull’ orlo del fallimento. Tuttora, proprio nel mercato statunitense l’FCA ha il suo punto di forza.

L’on. Calenda, di solito molto attento alle ragioni dell’impresa e dell’occupazione, dapprima si è detto scandalizzato di questo prestito dato che la FCA ha sede legale in Olanda. Quando gli è stato fatto notare che il prestito è richiesto da FCA Italia la quale paga stipendi, oneri sociali e tasse in Italia, Calenda si è detto favorevole al prestito, a patto che FCA Holding non distribuisca un dividendo già previsto mesi fa. A questo punto, qualcuno gli ha detto che quel dividendo viene concesso a tutti gli azionisti (grandi e piccoli) in virtù d’un accordo di fusione sottoscritto tra FCA Internazionale (la holding) e il gruppo francese PSA. Mesi fa appunto, assai prima del coronavirus, nelle trattative tra i due colossi dell’auto, si stabilì, tra l’altro un conguaglio di 5,5 miliardi a favore di FCA per il maggior peso nelle due Americhe (soprattutto negli USA) di quest’ultima. Vogliamo fare uno sconto ai francesi? Un’altra proposta è quella di congelare la cifra in un forziere torinese fino al 2023, quando sarebbe restituito il prestito, ma fra sei mesi l’FCA non esisterà più perché sarà fusa con PSA. Vogliamo rimandare la fusione perché il prestito, garantito dallo Stato (per altro come per tutti gli altri in questo momento di crisi) potrebbe non essere restituito? 

Marco Bentivogli, segretario della FIM-CISL, ha giustamente definito la polemica da salotto, perché se la FCA Italia fallisse, il problema del prestito restituito o meno sarebbe risibile. L’essenziale, ha detto, è che siano poste alcune condizioni, soprattutto in fatto di mantenimento dei livelli occupazionali diretti (attualmente 56 mila addetti) e quelli legati all’ indotto (350 mila). Il ministro Gualtieri ha ribadito che certe condizioni (livelli di occupazione, pagamento delle tasse e degli oneri sociali in Italia ecc,) sono scritte nel Decreto Salva Italia, e quindi cogenti, per chiunque voglia ottenere il prestito. O si rispettano o non viene concesso.  
Per quel che riguarda la questione delle decine di aziende italiane con sede all’estero, in particolare in Olanda (Enel, Eni, Luxottica, Saipem, Cementir, Mediaset, Ferrero…), Bentivogli ne aveva già parlato otto mesi fa, ricevendo per risposta un fragoroso silenzio.

La questione, come ha aggiunto parlando con l’on. Calenda, non riguarda solo FCA bensì decine di aziende italiane e migliaia di imprese straniere. Per quale ragione preferiscono spostare le loro sedi in Olanda, Irlanda, Lussemburgo e secondariamente a Malta e Cipro? Certamente perché la tassazione degli utili delle holding multinazionali (quindi ottenuti nel mondo) è più vantaggiosa. Ma anche perché i costi amministrativi sono nettamente inferiori e il governo societario è molto meno farraginoso rispetto a quanto avviene invece in Francia, Italia, Germania e altre nazioni UE. Allora, ha ribadito il sindacalista, che pare possedere una visione politica assai ampia e precisa, perché anche l’Italia non semplifica le sue norme oppure l’Europa non regolarizza queste disparità fiscali? Certo, ha aggiunto, “è bizzarro trovare una soluzione immediata a questi problemi proprio ora mentre la nave rischia di affondare”.

Notando che Bentivogli è nato a Conegliano, qualcuno poi gli ha chiesto: “Ma non sarà mica tifoso di Del Piero? Non sarà juventino?” Grazie a Dio, il conduttore aveva già spento i microfoni.