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C’è un’immagine che racconta forse meglio di qualsiasi parola cosa sia la Juventus. Una grande società, è vero; un insieme di tecnici preparati, anche; un gruppo di campioni fantastici, ovviamente. Ma soprattutto un gruppo di persone (non diciamo una famiglia, sarebbe fin troppo banale) compatto e unito per raggiungere l’obiettivo. Una comunità nella quale tutti si aiutano, anche sul piano umano, perché gli atleti, per quanto forti e ben pagati, sono innanzitutto persone che per rendere al massimo devono trovarsi nell’ambiente ideale. Un concetto scontato? Mica tanto: chi ha provato a contendere lo scudetto alla Juve in questi anni non sempre è stato così, anzi. E questo scava un solco ancora più profondo, aggravando il dislivello tecnico.

Nell’immagine in questione si vede Ronaldo, il gigante abbattuto da un cartellino rosso delirante, che viene sollevato da terra (e dalla sua disperazione) da quattro compagni. C’è il capitano, Chiellini. C’è un simbolo bianconero, benché traditore per una stagione, Bonucci. C’è lo straniero cattivo (in senso buono), Mandzukic. E c’è il giovane Bernardeschi. Proprio quest’ultimo è il più significativo dal punto di vista simbolico, perché significa che al suo secondo anno torinese ha già assorbito il messaggio positivo dello spogliatoio, lo ha fatto suo, si adopera per trasmetterlo agli altri.

Un’immagine: la Juventus è lì dentro. Coraggio, Cristiano, non ti abbattere per questa ingiustizia. E ora andiamo a vincere.

@steagresti