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La macchina non è in panne, ma il motore tossicchia. La Juventus, palesemente, non è più la macchina perfetta alla quale ci eravamo abituati. In una struttura aziendale importante e complessa come quella della società bianconera a fronte di un calo così evidente non è possibile addossare la responsabilità ad un’unica componente.

Occorre partire dall’alto e cioè dal vertice. Il presidente Andrea Agnelli non è esente da colpe. La prima è quella di aver cocciutamente rifiutato, per ragioni di orgoglio personale, la possibilità di un ritorno di Antonio Conte dopo essersi sbarazzato troppo in fretta di Massimiliano Allegri su suggerimento, in particolare, di Nedved. Il tecnico, ora all’Inter, sarebbe stato il solo in grado di gestire una situazione di spogliatoio composto da giocatori troppo assuefatti al successo per poter ancora sentire gli stimoli della fame.

Il secondo errore commesso dal “numero uno bianconero” è stato quello di affidarsi quasi ciecamente, in primo luogo, allo stesso Nedved del quale è amico di matita e, in seconda battuta, a Paratici il quale non avrebbe dovuto far rimpiangere Marotta. I due collaboratori di Agnelli hanno certamente lavorato sodo, ma senza riuscire a intervenire nel settore più delicato e importante della squadra. Quel centrocampo che, senza l’arrivo di un autentico leader, oggi non è in grado di sostenere in maniera adeguata né la difesa e neppure gli attaccanti. Su questo dovrebbe riflettere il presidente.

Così come dovrebbero fare i giocatori bianconeri, eccezion fatta per Cristiano Ronaldo il quale sempre più spesso si ritrova a predicare nel deserto insieme con compagni “distratti” e privi di quel “sacro furore” che invece dovrebbe rappresentare il denominatore di un gruppo vincente al di là della griffe bianconera e dei pedegree personali. Campioni, questo è innegabile, che si comportano però da primedonne un poco viziatelle per un eccesso di ego e che si offendono se l’allenatore li sostituisce a lavori in corso. L’assenza di autocritica, se non in forma banale e niente convinta, è chiara manifestazione di vanità. Un peccato capitale pericolosissimo.

In mezzo a questo scenario, certamente poco confortante, si trova la figura di Maurizio Sarri. Quasi schiacciato da una realtà che probabilmente neppure lui si aspettava, mette in mostra i suoi limiti o per essere più precisi il suo non essere, per natura, un professionista-dittatore ma soltanto un serio e coerente lavoratore al quale però viene a mancare la collaborazione da parte del gruppo che dirige. E quando il tecnico parla di “mentalità sbagliata” fa persino tenerezza.

Una parte di pazza, ora, chiede palesemente la sua testa. La Juventus, intesa come società, anche per tradizione non farà mai una cosa del genere. Ma il nodo andrà comunque sciolto e semmai dovesse continuare a questo modo non sarebbe poi così strano se fosse lo stesso Sarri a dire basta. Proprio come fece, a suo tempo, Corrado Orrico all’Inter. Due allenatori che, peraltro, possiedono numerose caratteristiche in comune. Una su tutte l’onesta intellettuale.