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Ci siamo. Questa sarà la notte prima degli esami. Una prova alla quale, da domani mattina, verranno chiamati sessanta milioni di cittadini italiani e il cui esito finale permetterà di capire se il nostro è un Paese che merita la licenza della maturità. Sarà, quella che ci attende, una notte differente da quelle che abbiamo dovuto trascorrere negli ultimi sessanta giorni destandoci al mattino con la consapevolezza di dover trascorrere la giornata privati delle nostre libertà tradizionali. Dormiremo poco e male, proprio come gli studenti.

Il nuovo giorno, 4 maggio del centoventicinquesimo anno bisestile. Per ciò che ci riguarda professionalmente più da vicino sarà anche la giornata mondiale del calcio dichiarata dalla Fifa in omaggio ai Caduti di Superga. I giocatori del Grande Torino che, come scrisse Montanelli, “non morirono, ma andarono semplicemente in trasferta”. Per la prima volta, dal giorno della tragedia, il piazzale della Basilica sarà deserto. Scatterà, invece, l’Italia della Fase 2. Milioni di persone che potranno tornare al lavoro, muoversi per recuperare almeno in parte gli affetti sospesi, tentare di rimettere in moto il fisico provato e arrugginito dalla forzata immobilità, partire per poter tornare in quei luoghi dei quali era rimasto soltanto un dolente ricordo. Autobus, tram, treni, automobili, biciclette, anche a piedi.

Sarà più facile da dire che non da realizzare tutto ciò. Occorrerà dimostrare di aver studiato e imparato per bene la lezione se si vorrà essere promossi. La maggioranza degli italiani ha già dimostrato di meritare la ”licenza” nel pieno della crisi. Come ebbi modo di scrivere il giorno stesso della ”chiusura” ufficiale il Paese avrebbe dato una risposta di assoluto valore al resto dell’Europa e del mondo a livello sanitario, assistenziale, collaborativo e partecipativo. Salvo poche sacche di fanfaroni sciagurati, il popolo e anche i suoi attuali governanti hanno dimostrato di essere all’altezza dell’emergenza cancellando lo stereotipo del solito italiano inaffidabile e pressapochista. Ma il difficile arriva adesso, perché nessuna guerra è stata ancora vinta e illudersi del contrario significherebbe consegnarsi nelle mani del nemico con conseguenze ancora più tragiche di quelle indicate dai troppi morti innocenti e dai malati gravi contati fino a oggi.

Deve essere molto chiaro a tutti ciò che si deve fare e quel che non è possibile anticipare nell’illusione che tutto sia finito. Le disposizioni dettate dal Governo, alcune delle quali possono sembrare ambigue o di difficile comprensione, non lasciano spazio all’interpretazione. Dalla loro rigorosa osservanza dipenderà il nostro futuro immediato e anche quello più a lungo termine. Abbiamo imparato a non abbracciarci, a fare la fila con pazienza davanti ai supermercati, a essere rispettosi verso il prossimo, a indossare mascherine e guanti, a fare a meno dell’apericena e degli assalti alle spiagge, a non urlare sfidandoci per cose superflue e banali in una lotta continua tutti contro tutti, ad aiutare chi ha più bisogno, a ritrovare il gusto per le piccole cose e per gli affetti più profondi, ad accorgerci quanto siano preziosi gli anziani, a prendere atto di quanto siano giudiziosi i bambini, a distinguere anche in politica i cialtroni da coloro che operano con serietà seppur talvolta commettendo errori come tutti, siamo persino riusciti a fare a meno del calcio che quando tornerà (e tornerà) vivremo in maniera più umana. Rovinare ciò che abbiamo costruito in questi sessanta giorni che hanno stupito persino noi stessi per il nostro buon comportamento sarebbe da folli sconsiderati. Ecco, pensiamo a tutto ciò questa notte. La notte prima degli esami.