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Paulo Dybala, in un lungo "microfono aperto" con piccoli tifosi della Juventus, ha risposto a tantissime domande di bambini dal cuore bianconero:

È stato difficile lasciare la tua Argentina per venire in Italia?

"Ovviamente fare un viaggio così lungo e lasciare la mia terra non è facile, però stavo inseguendo il mio sogno e ho pensato a quello, alle cose positive di ciò che stavo facendo"

Tu cosa fai quando accompagni i bambini in campo prima delle partite?

"Alzo le braccia e chiedo a mio papà di accompagnarmi e aiutarmi"

Qual è il tuo piatto preferito?

"Mi piacciono le empanadas, un piatto argentino facile da cucinare e che si può fare con carne, verdure etc etc. Le faccio con la mia ragazza e puoi anche vedere sui nostri profili social come si fanno"

Se non fossi un calciatore che lavoro faresti?

"Non lo so, ho finito sì la scuola da ragazzo ma sono entrato presto nel mondo del calcio"

Qual è stata la tua prima squadra da bambino?

"L'Instituto. Ho tantissimi ricordi, sono stato lì per 7 anni con tante esperienza sia positive che negative. Il ricordo più bello è l'esordio in prima squadra, che ha coronato tanti anni di sacrifici. Non è stato facile ed ero molto orgoglioso"

Come eri a scuola?

"Andavo a periodi, in alcuni momenti andavo molto bene in altri meno. La mia famiglia mi spronava tanto, come un allenatore, e sapevo di dover dare loro delle risposte. Ma quando mi sono impegnato sempre di più nel calcio ho avuto più difficoltà, però la scuola è molto importante per il tuo futuro"

Cosa prendi a colazione?

"Quasi tutti i giorni un bel mate, una tradizione argentina. Poi a volte uova, o biscotti, prosciutto o avocado... Proteine, che sono importanti per iniziare la giornata e allenarsi bene"

Oggi sei la Joya, a Palermo eri U Picciriddu, in Argentina eri El Petrino: quale ti piace di più?

"El Petrino nemmeno me lo ricordavo, ero molto piccolo. Ma mi sono affezionato soprattutto al Picciriddu: a Palermo tutti mi chiamavano così e la gente mi trattava in maniera incredibile, non era facile ambientarmi e ringrazio i palermitani per avermi accolto così"

Cosa significa la Dybala Mask?

"Sono un appassionato dei gladiatori, mi piace come si mettevano la maschera per affrontare le loro battaglie. A volte nelle partite di calcio, anche se è la nostra passione ed è ciò che amiamo, attraversiamo momenti difficile, allora ho pensato a questo gesto per esultare a ogni gol: mi piace il messaggio che posso mandare a tutti quanti, non solo a chi gioca a calcio"

Qual è stata la tua emozione più grande con la Juve? E il tuo traguardo?

"Per fortuna ho vissuto tanti momenti belli, alla mia prima partita, una finale (la Supercoppa Italiana, ndr) sono andato in gol... difficile trovarne uno. L'arrivo alla Juventus e indossare la maglia bianconera per la prima volta, presentarmi come giocatore della Juve, è stato davvero unico! I prossimi obiettivi sono tanti: il primo è la Supercoppa di gennaio contro il Napoli"

Chi era il tuo idolo da bambino? In che ruolo giocavi?

"Mi piaceva tantissimo come Ronaldinho come interpretava il calcio con gioia e come viveva la sua attività sul campo: riusciva a dimostrare cose fantastiche con molta semplicità. Il mio primo ruolo è stato l'attaccante offensivo a sinistra"

Quando giochi a livelli così alti riesci a mantenere lo stesso divertimento di quando eri bambino?

"Quando sei piccolo ti diverti di più, giochi tranquillo senza pensieri. La cosa più bella è giocare con gli amici per divertimento, ti diverti anche facendo i giochetti. Poi quando diventi grande hai più responsabilità, devi fare le cose bene e applicare quello che hai provato durante la preparazione della partita. Se vuoi diventare un gran giocatore devi essere attento a tutto il lavoro che fai. Però dobbiamo sempre ricordarci che è un gioco e dobbiamo divertirci a giocare per far divertire il pubblico"

Quando eri piccolo chi ti accompagnava alla scuola calcio?

"Abitavo in un piccolo paesino, tutti i luoghi erano vicino casa: andavo da solo in bici. Dopo i 10 anni però, quando andavo ad allenarmi in città, mi accompagnava mio papà, e a 15 anni sono andato ad abitare in un collegio con gli altri ragazzi della mia stessa società che venivano da fuori città. Sono rimasto lì due anni e sono approdato in prima squadra"

Cosa consigli a un piccolo appassionato di calcio che si allena tanto e un giorno vorrebbe prendere il tuo posto alla Juve?

"Da piccolo non pensavo molto a dove sarei arrivato: pensavo a divertirmi, imparare e ascoltare dai miei allenatori cosa dovevo migliorare. Ma per me stesso, non pensavo in un'ottica di arrivare a un certo livello. Sapevo di essere ancora molto giovane, mi premeva stare bene nella mia squadra con gli amici. Poi certo, vedi gli obiettivi più da vicino e inizi a strutturare meglio i tuoi pensieri, ma finché sei piccolo gioca spensierato e segna più gol possibili"

Se fossi Babbo Natale cosa vorresti regalare ai bambini del mondo?

"Ci sono tante cose che i bambini dovrebbero avere, ma la cosa più bella e augurarvi sempre il meglio e tanta felicità: poter stare con la vostra famiglia, la cosa più importante che avete. Ed essere felici, l'unica cosa che conta"

Sapevi fin da subito che saresti diventato un attaccante o ci hai messo tempo a capire il tuo ruolo?

"Quando sei molto giovane non è ancora un problema, hai tempo per pensare a che ruolo ricoprire. Io ho iniziato come attaccante a sinistra, poi centrale, poi ho arretrato la mia posizione. Non dev'essere un problema, devi capire con calma cosa preferisci fare, se preferisci fare gol o difendere o toccare più palloni. Io sono sempre stato un giocatore offensivo ma ho cambiato vari ruoli"

Qual è il tuo sogno più grande da calciatore?

"Sono due: vincere la Champions League con la Juventus e un Mondiale con l'Argentina. Sono difficili da realizzare, ma..."

Come mai ti chiamano La Joya?

"Quando ero molto giovane si diceva che tanti club italiani mi volevano e il mio valore economico era alto, come quello di un gioiello: un giornalista iniziò a scrivere che ero una Joya, un diamante"

Quanto è importante vestire la maglia della Juve?

"Tanto. C'è responsabilità e duro lavoro fin dal primo momento. Quando mi è stato chiesto di indossare addirittura il numero 10 è stato difficile addossarmi tale responsabilità. Ma al di là di quello, è importantissimo il simbolo che porti sul petto, quel logo che ti ricorda di dover dare sempre di più per questa squadra"

Cosa hai provato quando hai ricevuto la telefonata della Juve?

"Ho subito chiesto se fosse uno scherzo. C'erano altre squadre che mi stavano contattando, ma ho detto subito al mio procuratore di chiudere le altre chiamate e ascoltare solo quella della Juventus"

Per giocare bene è più importante l'affetto dei tifosi o della famiglia?

"Adesso che dobbiamo giocare senza tifosi è tutto molto strano, mi manca tanto entrare in uno stadio pieno di pubblico. Una sensazione mai sentita prima. La famiglia sai che è sempre con te ed è una sensazione che senti anche a distanza. I tifosi però ti danno una carica diversa, sono lì dall'inizio alla fine della partita"

Dopo la carriera da giocatore vorresti continuare nel mondo del calcio o hai un'altra passione che vorresti trasformare in un lavoro?

"Ancora non lo so, di sicuro il mestiere dell'allenatore è molto difficile. Piano piano sto conoscendo altri mondi e stanno iniziando a interessarmi tante cose oltre il calcio, ma non saprei ancora se faranno parte del mio futuro dopo il ritiro. Di sicuro resterò sempre legato a questo sport"

Cosa provi quando segni nell'Allianz Stadium?

"Qualcosa di unico, un'enorme soddisfazione. Lavoriamo tanto per arrivare a questo e poter festeggiare con voi. Non vediamo l'ora di scendere in campo insieme, e poi noi attaccanti l'unica cosa che vogliamo fare è segnare, a volte ci piace anche immaginare come esulteremo. Difficile trovare una sola parola per descrivere l'insieme di emozioni che provo"

Alla mia età sapevi già fare i dribbling come i grandi o hai imparato crescendo?

"Si impara con il tempo, tranquillo. Da bambino non ero così bravo, ho imparato gradualmente giocando coi miei amici ma anche a casa coi miei fratelli. Passavo molto tempo col pallone tra i piedi, mia mamma si arrabbiava perché a volte rompevo qualcosa in casa. Cercavo di imparare tante cose, non solo dribblare ma anche tirare, stoppare, provare con quale piede calciassi meglio, gestire la palla al volo..."