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La prestazione offerta da Paulo Dybala contro il Verona si potrebbe definire come il più classico dei bicchieri mezzi pieni. O come la luce in mezzo all’oscurità, quella da seguire per uscire dal tunnel. Niente di tutto ciò, invece. Perché quanto fatto vedere dal numero 10 bianconero, questa sera, punta i riflettori e fa emergere tutta la mediocrità di chi lo circonda. Un predicatore nel deserto. Un deserto fatto di scarsa applicazione, di limitate doti tecniche, di poca concentrazione e di totale assenza di voglia di andare a prendersi il risultato: che se non arriva con la qualità va conquistato con la fame, con la gamba che non si tira mai indietro, con una partita “sporca”.

Al Bentegodi, Dybala si è caricato la squadra sulle spalle. Ma, oggi, è un fardello troppo pesante, e lo sarebbe per chiunque. Non è un giocatore che risolve da solo le partite? Vero, ma non è di questo che ha bisogno la Juventus, anzi, il contrario. La compagine bianconera ha bisogno di riscoprirsi squadra, di ritrovare il collettivo, e solo attraverso questo il deserto può diventare un giardino rigoglioso. E in questo giardino Dybala può sbocciare. Questo è quello che deve essere il post Cristiano Ronaldo. Non un singolo sopra le parti, ma il collettivo che esalta i propri gioielli.