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C’era un tempo in cui nel pianeta del pallone esisteva una realtà ai confini con la magia dove vivevano personaggi destinati alla leggenda. Si chiamava Juventus ed era una zona del mondo diversa da tutte le altre. Né più bella e né più brutta. Soltanto differente. Era la rappresentazione moderna di quella che era stata Camelot. Il regno era governato da un sovrano che amava farsi chiamare “l’Avvocato” e che, come Artù,esercitava il suo potere sportivo per la felicità dei suoi sudditi. Lo aiutava, con i suoi sortilegi assortiti, un amico di vecchia data: Giampiero Boniperti, il nuovo Mago Merlino

A combattere per la “causa” erano valorosi cavalieri i cui nomi, grazie alle loro epiche imprese, popolavano le storie e i racconti che gli anziani facevano ai bambini quando scendeva la sera. Due di loro, in particolare, scatenavano la fantasia dei ragazzi e provocavano invidie tra la gente delle tribù ostili. Due uomini che arrivavano da lontano. Michel Platini, novello Lancillotto, e Zibi Boniek, la rivisitazione di Tristano. Le loro azioni di coraggio e di ardore facevano in modo che la vita nel regno bianconero scorresse all’insegna della serenità senza che nessuno, per anni, azzardasse a interrompere quel sogno. 
Morì, fatalmente, l’Avvocato come era morto Artù. Boniperti si accorse e disse, come Merlino, “Ora è tempo degli uomini e dei loro modi” e si fece da parte. Come ciascun cavaliere della Tavola rotonda, anche Platini e Boniek si separarono infilando ognuno la propria strada. Rimasero comunque amici. Molto amici. Nel limite delle loro possibilità oggettive continuarono ad aiutarsi a distanza. Del resto erano stati loro due, in particolare, a segnare con una traccia indelebile la storia di quel regno chiamato Juventus tanto simile a Camelot.

Nulla è immutabile. Anche le leggende possono perdere qualcosa del loro lucente fascino allorchè “Il tempo degli uomini e dei loro modi” interviene a cancellare la forza della magia. Di Platini si è detto sino a non poterne più. Il re ha perso la corona perché “non si può osservare troppo a lungo il sole” senza rimanere accecati dalla sua luce. Ora è toccato a Zibì Boniek bere l’amaro dal calice. “Questa volta nulla e nessuno ci vieta di pensare che potremmo vincere il Mondiale” aveva sentenziato l’ex bello di notte nelle vesti di presidente della Federazione polacca. Un ruolo ottenuto, tra l’altro, anche grazie al lavoro fatto da Platini come capo dell’Uefa prima che Polonia e Ucraina ottenessero il “passi” per l’organizzazione degli Europei. La Polonia è uscita mestamente dal Mondiale come peggior squadra della manifestazione. E dopo Platini anche Boniek come responsabile calcistico della disfatta, entra nel cono d’ombra di quel crepuscolo che, talvolta, non risparmia neppure gli dèi.