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Diario del tifoso è la nuova rubrica de IlBianconero.com: un racconto delle partite della Juventus da un punto di vista speciale, per coglierne le sfumature più nascoste. Dallo stadio, dal divano, o chissà dove: perché quella per il bianconero è una passione che si insinua e non ti abbandona, ovunque tu sia.

È un mercoledì autunnale, giochiamo alle 18.30 e in nero in uno stadio mezzo vuoto, la formazione non è mai uguale alla precedente, di fronte c’è una squadra che ha poco da perdere: cosa potrà mai andare storto? Tutto. San Siro è un ricordo lontano e non sono allo Stadium. E questa Juventus non mi fa battere più il cuore. Ecco, l’ho detto. E non è una questione di “se vuoi divertirti vai al circo” oppure “facile dirlo quando non si vince”. Il punto è: cosa stiamo vedendo? Questa squadra è ancora capace di emozionarci, a prescindere dal risultato? È, banalmente, ancora capace di giocare a calcio? Una squadra distratta, che sbaglia anche i tocchi più elementari, che si affida al caso. E che manda in malora un mercoledì di ottobre che somiglia tanto a un meme virale che gira su Twitter: “Che settimana è stata, eh?”, dice un uomo esausto, con le occhiaie, alludendo alla pesantezza tipica di una settimana intera alle spalle. “Capitano, è mercoledì”, risponde un giovane. Come a dire: è ancora lunga.

È ancora lunga questa stagione, ma sembra già finita. O almeno, sembrano da accantonare i sogni di gloria che vorrebbero la Juventus lì dove le compete: con lo scudetto sul petto. Vincono tutte: Inter, Milan, Roma, Lazio. Domani - oggi per chi legge - probabilmente lo farà anche il Napoli. E noi? Ad arrabattarci per segnare un gol che non sia casuale. Ci si mette anche la sfortuna - quel palo di Dybala grida vendetta - ma no, non è sfortuna quella che ti porta a segnare gli ultimi quattro da situazioni fortuite. Ieri ho letto da un giornalista che segnare un gol a partita è un tipo di navigazione che non porta lontano. Che non ci porta in porto, al sicuro, aggiungo io. Mi è subito piaciuta questa metafora: la Juventus naviga a vista, difficile seguirla se non sappiamo dove voglia andare. Cosa salvo di questo Juventus-Sassuolo - partita che mai, in casa, ci aveva visti sconfitti? Forse, paradossalmente, la beffa finale. È quel tipo di gol che - non fraintendete - porta con sé anche un pizzico di sollievo.

Cosa voglio dire? Che questa squadra ha forse bisogno di toccare il fondo - e rendersene conto - per poter risalire. Verso dove, chissà. Ma intanto, navigare non più a vista. Cosa voglio dire? Che quattro 1-0 consecutivi sono stati soltanto la mera illusione che il peggio fosse alle spalle, che San Siro doveva dimostrare che basta una palla deviata a sconvolgere un copione già scritto. Che c’è una cosa che un tifoso si aspetta di vedere - da un divano, da un freddo seggiolino di uno Stadium che non si accende più da tempo, da qualsiasi parte del mondo: fame e umiltà. Subito dopo vengono idee e capacità di applicarle. È un mix semplice, non servono alchimisti: serve mettere il massimo di ognuno di questi ingredienti. Solo così, forse, tornerà a batterci il cuore.