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Finalmente una vittoria in campionato! Con relativa domanda: “È guarita la Juve?”

Già, ma prima di tutto bisognerebbe sapere da quale malattia è affetta, perché la classifica e il gioco non spiegano la patologia che affligge la squadra bianconera. E allora proviamo a capire qual è.

Si tratta d’un lento, inesorabile decadimento iniziato tre anni fa, giunto forse oggi, al suo apice. Comincia con una sventurata campagna acquisti nel segno del parametro zero, prosegue con la convinzione che basti De Ligt per aggiustare la difesa e che con Ronaldo, arriverà la Champions. Tutto il resto - pensano in società - c’è già.

Ma come? E i terzini? Fortissimi. Alex Sandro e De Sciglio sono una garanzia, cui si aggiunge Danilo. Il centrocampo poi, si afferma, è fatto di campioni: Rabiot, Ramsey, Bentancur, Arthur. Sogni, proiezioni, aspettative esagerate. Il primo è stato scartato dal PSG e forse non solo per colpa dell’invadente madre, il secondo, come si dice brutalmente, è rotto. Arthur vale, per quel che s’è visto (ha giocato poco), l’ultimo Pjanic ovvero poco. E Bentancur? Sempre un passo avanti e uno indietro, per altro assai lentamente.

E allora si corre ai ripari con un “grande prospetto” ossia Kulusevski e il promettente McKennie. Quest’ ultimo, nell’ anno in corso, è sparito dopo qualche buona prestazione con Pirlo; Kulu resta sempre solo un grande prospetto. Soltanto Chiesa ha mantenuto le promesse, ma lui, un discreto Morata, un Dybala post convalescente e un ottimo Cuadrado possono bastare? No.

La prima ragione della patologia bianconera sta, dunque, nella rosa, scelta con criteri che sembrano sempre essere state dettati da fattori esterni: parametri zero e last minute. Vedi Kean. Una compagine sulla carta non fortissima, ma zeppa di nazionali italiani e stranieri può, però, giocare in questo modo? Cosa la frena, anzi cosa l’attanaglia? Probabilmente la paura di non farcela, l’ansia da prestazione che poi conduce a una specie di depressione. Ecco, i bianconeri sembrano depressi e spauriti.

Arrivano contenti, pimpanti, magari fanno una stagione incoraggiante (il primo Alex Sandro, Bernardeschi, McKennie) poi si avvitano in basso come se l’ambiente caricasse addosso a loro un peso opprimente. E d’altra parte, se Sarri diceva che “erano inallenabili”, ora Allegri dice in sostanza che molti non sono da Juve. Si aggiunga l’eterno “rifrullo” a cui sono sottoposti i giocatori. Pirlo li faceva giocare a destra o a sinistra, Allegri fa fare a Dybala e Chiesa i centrocampisti arretrati, Locatelli un giorno è il regista davanti alla difesa, quello dopo sgroppa in avanti, McKennie diventa una mezza ala che dovrebbe illuminare il gioco e sprofonda nel buio.

Quindi, in sintesi, le ragioni della malattia juventina sono almeno tre: una storica, una psicologica e una tattica, dovute per lo più alle scelte dei medici ovvero dirigenti e allenatori. Già, a proposito di medici, anche la decisione di mandare via un clinico di  fama equilibrato e lungimirante come Marotta, per affidarsi a un giovane rampante dallo sguardo corto come Paratici, è forse stata l’inizio del declino. A questo si aggiunga il paternalismo allegriano che argomenta di differenze tra esperienza e gioventù, alimentando una certa confusione non solo dialettica...

Ecco il quarto sintomo che regna in società, forse il più pericoloso: la confusione. Nelle teste, sui campi, dietro le scrivanie. Insomma ovunque. Provassero almeno a guarire da quella. Sarebbe l’inizio della cura.