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Mattia De Sciglio, a L'Equipe, parla del momento della Juventus e non solo.

L'ESPERIENZA A LIONE -  "A Lione è stata veramente una vera esperienza di vita e una scelta che rifarei mille volte. Sono stato benissimo: ho imparato a giocare in un calcio più rapido, dove anche le piccole squadre si giocano le proprie chance, senza limitarsi a difendere. Oggi ho più fiducia nei miei mezzi e sono anche tornato a divertirmi giocando. In Italia siamo sommersi ogni giorno dalla pressione dei media e dei tifosi. In Francia, una volta finita la partita, anche se è arrivata una sconfitta, si pensa a quello dopo senza esasperazione. Il calcio è vissuto più serenamente. Voglio lanciare un messaggio ai giocatori italiani: in tanti hanno paura di andare all'estero, ma è un peccato. Sono esperienze che ti arricchiscono tantissimo".  

ALLEGRI - "È stato l'allenatore che mi ha fatto esordire in Serie A nel 2011. Lui è molto pragmatico: non è che non ami il bel calcio, ma cerca anzitutto la solidità, che è la cosa che lo ha contraddistinto nel suo primo ciclo alla Juve dal 2014 al 2019. Oggi è tornato, ma la squadra è diversa. Quest'anno siamo partiti male, poi abbiamo fatto una serie di 17 partite senza perdere. Se non avessimo lasciato per strada tanti punti in maniera stupida, oggi saremmo ancora in corsa per lo scudetto. L'eliminazione in Champions col Villarreal è stata una grande delusione, ma non è vero che avevamo sottovalutato l'avversario. Ora i nostri obiettivi sono la Coppa Italia e la qualificazione in Champions". 

LA NAZIONALE - "Contro la Macedonia è successo quel che può succedere in un match secco in cui ci si gioca una qualificazione. Il livello dell'avversario conta il giusto, può succedere di tutto con gli episodi. Ero in panchina quel giorno e vedevo che ci stavamo facendo intrappolare dal nervosismo, col passare dei minuti".

LA DIFFERENZA - "All'estero i giovani sono pronti prima di noi a giocare partite importanti. L'ho visto in Francia: lì i giovani sono coraggiosi, non hanno paura di provare un uno contro uno perché gli errori sono concessi. Un giovane italiano è invece lodato al primo match buono, per poi venire massacrato al primo errore. In questo modo, anziché riprendersi, si perde".