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Da sessanta giorni stiamo vivendo dentro una bolla sospesa sopra una realtà quasi onirica. Eppure non tutto è rimasto immobile. Neppure il calcio. L’assenza di pallone giocato non ha significato il silenzio tombale sul nostro divertimento principe o l’oscuramento totale dei suoi aspetti più spettacolari.

I mezzi di comunicazione canonicamente deputati alla messa in onda di partite, interviste e quant’altro hanno cercato di surrogare la nostra necessità di passione e il nostro fabbisogno di adrenalina agonistica al meglio di quanto fosse nelle loro possibilità. In assenza dei grandi incontri e scontri di attualità le reti hanno supplito offrendoci scampoli di storia più o meno antica, ma non per questo meno intrigante.
Come rivedere i vecchi film di Totò o di Chaplin, piuttosto che i grandi capolavori del cinema. Come risentire le canzoni di De André o di Gaber, piuttosto che quelle di Modugno o di Battisti. Come rileggere le pagine dei libri scritti da Calvino o da Buzzati, piuttosto che quelle dei classici senza tempo. Come gustare la vecchia ribollita della nonna o gli agnolotti fatti in casa, piuttosto che un buon bicchiere di vino rosso senza aggiunta di solfiti. Sapori antichi, per il palato e per la mente, che provvedono a curare l’anima rendendola meno inquieta e triste.

Il menu del calcio, proposto in questi giorni di allucinante calma piatta, ha svolto con grande dignità il suo compito consolatorio permettendoci di giocare con la memoria grazie alle immagini, talvolta addirittura in bianco e nero, di eventi che le generazioni più anziane hanno potuto apprezzare con rinnovato entusiasmo e che i giovani hanno imparato a leggere per la prima volta.

I fischi e le performances elettriche di Giovanni Trapattoni in piedi davanti alla sua panchina. La corsa da centometrista di Carletto Mazzone sotto la curva che lo aveva sbertucciato e i suoi intercalare farciti di “magara”. Quel pallone afferrato con le punta delle dita da Dino Zoff preludio di una indimenticabile Fiesta azzurra mondiale. Il rombo del tuono che annunciava l’arrivo della tempesta per gli avversari di Gigi Riva. Le delizie abatinesche ma geniali di un artista come Gianni Rivera. Le reti in omaggio a Cesarini segnate da Josè Altafini, il vecchio cavallo bianconero che non sudava mai. Le piccole ma micidiali saette lanciate dal “Nanu” Galderisi. La rapina consumata ai danni di un portiere inglese dal brasiliano Peirò. Il cappello da operaio di Osvaldo Bagnoli. Il colbacco da soviet di Gustavo Giagnoni. L’eleganza e l’ironia di Niel Liedholm e l’umanità più genuina di Vujadin Boskov. Altri ancora. Tanti. Tantissimi.

Alcuni volati via ma molti, per fortuna, ancora tra noi e ciascuno di loro nonni a pieno titolo. Come lo sarebbe Gaetano Scirea, oggi. La generazione di quelli che, come sembra verrà deciso, dovrà rimanere ancora chiusa in casa anche dopo l’avvio della Fase2 perché i vecchi vanno difesi e preservati come un bene troppo prezioso. Certamente, saranno anche vecchi nonni, ma per sessanta giorni sono stati loro a dare spettacolo.