commenta
Non è necessario essere Ronaldo per affascinare entrando direttamente nel cuore della gente. Non occorre vestire il costume del super eroe o quello del divo per guadagnarsi, con merito, uno spazio di prestigio nel rutilante e talvolta folcloristico regno del pallone. Neppure l’età conta più di tanto per affrontare da mattatore la scena e magari scrivere un capitolo di assoluto valore nel libro dei protagonisti degni di essere ricordati. Basta essere uno come Fabio Quagliarella, oggi bomber del record nella Sampdoria, per meritare giustizia in un mondo che spesso tanto giusto non è.

Una vita professionale da operaio specializzato, ovviamente in gol. L’esempio classico di come sia possibile esercitare al meglio il proprio lavoro e di essere utile alla causa non solo della società per la quale si opera ma di quella del calcio in senso ampio e del suo buon nome, senza dover indossare i panni della star e senza mostrarsi in atteggiamenti da prima donna. Fatica, tanta fatica e anche qualche grosso dispiacere. E’ il selciato lungo il quale Fabio Quagliarella ha percorso, tra inciampi e risalite, il percorso che oggi a trentacinque anni viene illuminato da nuovi riflettori regalandogli la soddisfazione della ribalta. Ma lui egualmente non pensa di essere arrivato. Non ancora…non ancora… come per Massimo Decimo Meridio il Gladiatore sarà ancora lunga la strada.

Andrà avanti con addosso quella maglia numero ventisette voluta da lui stesso per rendere omaggio e non dimenticare mai il suo giovane amico Niccolò Galli. Magari, se Roberto Mancini avrà l’accortezza di lasciarsi dare una mano anche da un uomo della vecchia guardia, potrà rivestire la maglia azzurra che aveva perso per mille motivi e uno in particolare. Una schifezza di trappola che un deviato di mente aveva messo per lui e per la sua famiglia quando Fabio era arrivato nella sua Napoli come aveva sempre sognato di poter fare. Calunnie e persecuzioni cancellate dalla giustizia quando ormai era tardi per continuare il rapporto con la sua squadra del cuore. Una ferita mai chiusa del tutto perché il dolore provato allora fu atroce.

Poi la resurrezione. Lenta e tribolata, ma costante. Con il passo cadenzato di chi non molla mai e sa rispondere agli schiaffi ricevuti dal destino con medesima moneta. Altri, al suo posto, avrebbero ceduto o comunque sarebbero finiti come tanti sopravvissuti nel cono d’ombra del crepuscolo. Lui no. Re Leone anche se acciaccato e pieno di graffi per i combattimenti sostenuti ha domato la vita che lo voleva domare. Mantenendosi saldo sulle gambe, con la schiena ben ritta e, soprattutto, indossando sempre il medesimo abito da lavoro privo di lustrini e paillettes.

Ben vengano, per lo spettacolo e per rafforzare i sogni della gente, i Ronaldo o quelli come lui. Ma, sia ben chiaro, il calcio ha e avrà sempre bisogno di persone e non di personaggi come Fabio Quagliarella. Lui e quelle sue lezioni magistrali che consentono, soprattutto ai ragazzi, di non confondere la realtà sana e onesta con i miraggi o con le fantasie irrealizzabili. E se l’uomo, di tanto in tanto, ha la meglio su Superman dobbiamo soltanto essere contenti e applaudire.


@matattachia