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Quando una squadra è in crisi le ragioni sono più d'una. Nel caso della Juventus possiamo elencarne alcune. Una campagna acquisti, se non sbagliata, temeraria. I due grandi protagonisti (Di Maria e Pogba) erano prevedibilmente a rischio. “Usurato” (ci si passi il termine) il primo, infortunato il secondo. E' presumibile, anzi doveroso, ritenere che la società ne fosse al corrente: nel primo caso, l'età. Nel secondo, le visite mediche e la doverosa comunicazione del centrocampista francese o del procuratore circa il suo endemico problema al ginocchio. Per restare al mercato, una trattativa grossa come  una montagna ha partorito un topolino ovvero Paredes. Sarà un buon giocatore, ma non è quello che serve a questa squadra, che ha bisogno d'un incontrista dinamico, coraggioso e rapido. Forse meno giocatori, non a parametro zero, ma più integri o più adatti sarebbero stati preferibili. E' vero che ci trasciniamo ancora sulle secche Rabiot e Arthur, rinnovate dall'incredibile acquisto di Kean a quasi 40 milioni di Euro, ma che Locatelli, da solo, non reggesse il centrocampo s'era capito l'anno scorso.

Una seconda ragione della crisi, almeno dopo quasi una decina di partite ufficiali, risiede nella condizione atletica. I giocatori non hanno avuto tempo per la preparazione? La tournée statunitense è stata così devastante? A vedere il Real Madrid, anch'esso nel medesimo torneo americano, non si direbbe. Comunque i bianconeri non stanno in piedi. O meglio giocano una ventina di minuti, poi si squagliano. Hai voglia a dire che è una questione mentale. L'unico secondo tempo dignitoso è stato quello contro il PSG, per altro vincitore. Nei restanti casi, la squadra è caduta in balia degli avversari, si chiamassero Fiorentina o Spezia, Salernitana o Benfica.

Un altro elemento è, probabilmente, una scarsa fiducia in generale: negli altri e in se stessi. Non pensiamo che un personaggio come Arrivabene sia la figura necessaria per una squadra, bisognosa, prima di tutto di ritrovare la propria identità. Per sua ammissione ha riconosciuto di non conoscere il calcio, per ammissione del passato, alla Ferrari non ha lasciato il segno. Possiede una vocazione da contabile e impersona, ciò che, al momento, forse più conta alla Juve: la contabilità, appunto. Ma i conti non si fanno solo sugli stipendi dei giocatori (vedi Dybala), si fanno anche sulle entrate: non riuscire a passare il girone di Champions significherebbe compromettere la stagione anche economicamente, quindi un amministratore degno di questo dovrebbe essere sensibile, se non a quella giocata, almeno alla partita doppia. La sua frase su Allegri (“E poi se lo mandiamo via, lo pagate voi?”) non rappresenta solo il terrore contabile, ma esprime anche una certa sfiducia: ce lo teniamo perché non possiamo fare altrimenti, come se il cortocircuito amministrativo fosse sempre dietro l'angolo, in ragione di spese impreviste. Invece d'imprevisto, di pesantemente imprevisto, si palesa all'orizzonte un fantasma assai concreto: il mancato incasso dal passaggio alla seconda fase della Champions.