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Ne ho lette così tante in quest'ultima settimana, che sento il bisogno di fare un po' d'ordine e provare a metterle sinteticamente in fila. Parlo delle ragioni espresse da commentatori, avvocati e giuristi sulla sentenza della Caf e dei possibili punti deboli che la Juve potrebbe impugnare, con successo, davanti al Collegio di garanzia dello Sport del CONI. Non conosciamo ancora i termini del ricorso che gli avvocati della società presenteranno (è possibile che lo faranno prima del mese a disposizione). Qui, elenco quelli che sembrano esserne i punti più rilevanti.

1) In pochi hanno ricordato il possibile “sfondamento” dei tempi da parte del procuratore Chiné. In precedenza si era parlato di un intervallo troppo ampio intercorso tra il momento della richiesta degli atti alla Procura di Torino e la presentazione dell'Appello. 

2) La Procura della FIGC è ricorsa in Appello rispetto alla sentenza di proscioglimento della Juventus e di altre società per le plusvalenze, avvenuta nel primo grado di giudizio, ma il ricorso non verteva sui medesimi contenuti. Un esempio per rendere più chiaro il concetto: ricorro in appello contro una sentenza che ha assolto un imputato da appropriazione indebita, ma poi presento un capo d'imputazione diverso: furto con scasso. Ci si appella a una certa sentenza riferita a una certa imputazione. 

3) La norma per cui è stata condannata la Juventus non esiste, o meglio l'articolo invocato (il 31, comma 1) prevede, al massimo, sanzioni pecuniarie. Nel precedente giudizio sulle plusvalenze le prassi della Juve e di altre altre società (11 squadre, 59 dirigenti e membri dei vari CdA) erano state definite non sanzionabili, in quanto la plusvalenza non è oggettivamente misurabile. Non è un caso che giuristi, ministri e presidenti (quello della Lega Serie A Casini) si rincorrano, da giorni, con l'idea che bisogna “normare al più presto le plusvalenze”: ora le norme non ci sono. La domanda allora è: perché la Corte ha condannato senza un reato? Colpa del foglietto definito “libro nero” che può manifestare tutte le intenzioni del mondo, ma di fatto non propone alcun illecito perché non esiste norma che lo definisca tale. Un cittadino ha diritto di sapere se in un dato luogo la sosta è permessa o vietata. Qui, invece, sembra che il cartello di divieto si metta dopo che uno ha parcheggiato l'auto. Nella storia del diritto del Novecento abbiamo un solo precedente: il Processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti. In quell'occasione venne loro contestato il reato di “crimini contro l'umanità” non contemplato da nessun altro codice. Sembra che anche i giudici della F.I.G.C., mutatis mutandis, abbiano seguito il precedente della regola di Radbruch (era il giurista tedesco che coniò tale principio). La nefandezza, l'orrore, la cattiva fede dimostrata dai dirigenti juventini per loro è stata tale da rendere inutile e superflua l'esistenza d'una norma che configuri un certo reato. Si potrebbe, quindi, dire che, per la proprietà transitiva, i dirigenti juventini hanno subito lo stesso trattamento dei gerarchi nazisti? 

4) Un parcheggio o dieci parcheggi? Questa domanda, con relativa risposta, l'ha efficacemente posta l'avvocato D'Onofrio, nel corso dell'Osservatorio Romano, sul Bianconero. D'Onofrio ha detto che, posta la non sanzionabilità delle plusvalenze, possiamo fare l'esempio del parcheggio. Se metto l'auto in sosta vietata una volta pagherò una multa, se la metto cinque volte pagherò cinque multe. Invece, nel caso in questione, sembra che chi parcheggia per cinque volte ne debba pagare duecento, come se la sommatoria delle ammende variasse l'entità del “reato”. Per di più, in diritto, vale la norma definita e non il ricorso al principio generale: se parcheggio in doppia fila sarò sanzionato per questo comportamento e anche se lo facessi per 10 volte di seguito non mi può essere ritirata la patente perché non c'è una norma che lo prevede. Invece con la Juventus si è andati dal particolare (plusvalenze) al generale ovvero al comportamento sleale perché le plusvalenze sono più d'una e perché qualche dirigente juventino avrebbe detto di farle. Come dire: testimoni mi hanno sentito dire che sapevo di lasciare la macchina in divieto di sosta e questa consapevolezza configura un reato ulteriore, ma non previsto, rispetto all'ammenda.

In sostanza la legge va rispettata anche quando non c'è. Naturalmente questo vale solo per la Juventus.