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È vero, come ha detto lui stesso “ci vuole ancora tempo” per permettergli di integrarsi completamente con la nuova squadra, però questa è già la Juve di Dusan Vlahovic.

Senza sarebbe invece ancora quella degli zero tiri in porta di San Siro contro il Milan, coi fantasmi del non-gioco che ogni tanto riaffiorano, com’è ricapitato proprio giovedì scorso, in gran parte del primo tempo e all’inizio della ripresa. Però adesso c’è Dusan in più, l’unico capace di fare reparto da solo e inventarsi il gol della vittoria per il passaggio in semifinale di Coppa Italia. Il centravanti che mancava, un attaccante vero, senza fronzoli e tutta sostanza. Il clone di CR7? Questo lo dirà solo il tempo, e lui coi sui appena 22 compiuti di tempo davanti ne ha davvero tanto. Tempo che Dusan non sembra intenzionato a sprecare.

Non sono trascorse neanche due settimane dal suo approdo a Torino, ha giocato appena 180 minuti con la sua squadra, ma Vlahovic si è già dimostrato quello per cui è stato acquistato: decisivo. Anche in una serata complicata, come appunto quella col Sassuolo, nella quale ha fatto fatica pure lui a trovare la profondità, a tirare in porta, a crearsi spazi ed occasioni. Vuoi anche per una squadra che, per lunghi tratti di gara, è tornata ad addormentarsi, a subire l’avversario anziché aggredirlo e a non aiutarlo.

Poi Allegri gli ha messo a fianco Morata, e aggiunto con Locatelli dinamicità ad un centrocampo letargico orchestrato da orsetto Arthur (domanda: perché Max si ostina a metterlo in campo?)  e la partita è cambiata. La squadra ha alzato i giri del motore e sono fioccate occasioni, centrati due volte i pali della porta di Pegolo superstar, ma per risolverla c’ha dovuto pensare lui, Dusan, inventandosi letteralmente azione e gol. Poi è stato anche fortunato con quella carambola su Tressoldi, ma come si dice: la fortuna aiuta gli audaci. E lui di audacia ce ne ha messa tanta pur di riuscire a segnare quel gol qualificazione.

La parola chiave l’abbiamo scritta e la riscriviamo ancora: determinante. Sperando entri nella testa anche a qualcun ‘altro della rosa bianconera, e dalla voracità del serbo prenda esempio.

Ovvio che il riferimento è prima di tutto a Dybala, autore comunque giovedì di una prestazione positiva. È stato lui ad aprire le marcature della serata, ed è stato sempre lui a lanciare proprio Vlahovic nella funambolica fuga per la vittoria.

In mezzo tanti ghirigori, palleggi ed evoluzioni, utili a lustrare l’occhio dei tifosi (che infatti lo hanno acclamato) ma che sul piano pratico hanno creato poco. Non appena la gara è finita su un binario morto, Paolino è sparito insieme al resto della squadra. Qualche tocco qua e là, ma nessuna giocata risolutiva. Un suo vecchio vizio. Certo, dopo tre minuti ha fatto gol e il lancio geniale per DV7 all’82° è partito sempre dal suo piede: chapeau. Ma una partita dura 90 minuti (quella dell’altra sera 96) e non si può vivere di rendita e di lampi. Proprio perché ci si chiama Dybala e non si è uno inter pares. Lui è il 10, e ci si aspetta sempre qualcosa in più. Che sia lui a il primo trascinatore della squadra. Deve entrargli in testa. Vlahovic, a quanto pare, lo ha già capito.