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Qualcuno riesce pure a domandarsi  perché agli juventini,  così come a parecchi  all’interno della stessa Juventus, la FIGC non stia molto simpatica. Una possibile risposta possono trovarla nelle dichiarazioni rilasciate al Mattino dall’ex procuratore Giuseppe Pecoraro, già distintosi nel suo triennio federale per gaffe e uscite infelici nei confronti della squadra bianconera.  Un’acredine evidente, più consona ad un tifoso piuttosto che ad un rappresentante delle istituzioni sportive, seppur ex, ma talmente forte da fargli commettere un’altra scivolata.

Nell’intervista Pecoraro è tornato a polemizzare sul campionato 2017/18, nello specifico il Derby d’Italia di ritorno, quello che praticamente decise l’assegnazione dello scudetto. La Juve vinse in rimonta, ma a scatenare le ire di interisti e napoletani fu l’intervento di Pjanic su Rafinha, non punito dall’arbitro Orsato neanche col cartellino giallo (il bosniaco era già stato ammonito e, nel caso di doppia ammonizione, avrebbe potuto essere espulso  ndr).

Pecoraro racconta di essere stato subissato, nei giorni successivi a quella partita, di esposti presentati da associazioni di tifosi che chiedevano di fare chiarezza su quell’episodio, e lui valutò la possibilità di aprire un procedimento. Quindi insistette per avere dall’AIA gli audio arbitro-VAR di quella partita, recapitategli –riferisce - solo all’inizio del campionato successivo. E con sua enorme sorpresa nel file non trovò il dialogo relativo proprio a quell’episodio. Chiosa sibillina: “C’è bisogno di più trasparenza”, ridando fiato così ai rigurgiti dietrologici. Soprattutto a Napoli, dove sono ancora convinti di aver perso quello scudetto in un albergo di Firenze.

Pecoraro compreso, essendo lui stesso un tifoso del Napoli, come confessò in tv a Marzullo, per niente “Sottovoce”, quel 2 febbraio 2018.  Casuale non è stata nemmeno la scelta del principale quotidiano partenopeo come referente per questa rivelazione. O forse solo l’ennesima provocazione antijuventina. Per giunta, con due anni di ritardo. Perché Pecoraro, nel pieno esercizio delle proprie funzioni federali, non denunciò a suo tempo questa vicenda, decidendo invece di farlo ora? Non se lo domandano di sicuro i “soliti noti” del web, partiti già all’attacco sui social e che, dall’alto della loro fittizia terzietà, stanno già chiedendo a gran voce l’azzeramento dei vertici Aia e la cacciata di Orsato, oltre alla revoca di quel campionato. Giustizia sommaria, senza nemmeno accertarsi se Pecoraro non stia raccontando una bufala, come già avvenuto per le intercettazioni sul caso Agnelli-N’drangheta.

Infatti pure stavolta ci è ricascato:  il protocollo VAR non prevede consultazioni tra varisti e arbitri per quanto riguarda le ammonizioni. Ecco svelato il mistero del dialogo mancante in quel file. L’AIA glielo avrà pure spiegato, ma Pecoraro non se n’è convinto ed è tornato a soffiare sul fuoco. Sicuro di sollevare un vespaio contro quegli arbitri coi quali ha ammesso di avere avuto tensioni in passato. Anzi,fu proprio la direzione di Orsato in quell’Inter-Juve ad acuire. E due anni dopo lui la ritira fuori, a dimostrazione che le ruggini non sono state  cancellate.  

Eppoi, quel brutto vizio di seguire il “sentimento popolare” che i procuratori federali si tramandano a vicenda, un canto delle sirene al quale nemmeno Pecoraro riusciva a resistere: com’è possibile aprire un’indagine per gli esposti presentati da alcuni tifosi? Di sicuro quelli partenopei, coi quali l’ex procuratore condivideva, e continua a condividere, la medesima fede calcistica. Tifoso del Napoli era, tifoso del Napoli è rimasto. Ma per i terrapiattisti è  credibile.