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Come un libro stampato. Così ha parlato Nedved l’altro giorno al Salone (appunto) del libro. Da vero gobbo, con l’orgoglio del dirigente juventino e il cuore appassionato del tifoso bianconero. “Lo Stadium? È casa mia” ha detto, quasi appropriandosi del titolo del volume “La casa della Juve” scritto dall’ottimo Guido Vaciago e che entrambi stavano appunto presentando in fiera.

Si è partiti da lì, dal senso di appartenenza trasmesso da quell’impianto a ciascun juventino e dalla carica che riesce a dare alla squadra in campo quando è pieno, per approdare poi alla stringente attualità: alla Juventus dell’8° posto in classifica in campionato e del percorso trionfale bruscamente interrotto la scorsa stagione. Uno stop inaspettato, tanto quanto l’inizio balbettante di quest’anno in campionato. Risultati che, inevitabilmente, hanno dato spazio alle critiche, e Nedved lo sa.

Però lui non ci sta, perché pur nella delusione collettiva, ha tenuto a ricordare che la Juventus nell’ultimo biennio ha conquistato uno scudetto e 2 coppe “non so ve ne siete accorti”. Precisando pure che “altri, in 10 anni, non hanno vinto niente”. Quindi “vanno bene le critiche, purché siano giuste”. Fierezza juventina allo stato puro, la sua. Frasi che ai tifosi piace sentir pronunciare da un proprio dirigente, soprattutto quando marcano le differenze con gli avversari di sempre.

Uscendo però dalla giusta autocelebrazione, Nedved sa anche, come lui stesso ha ammesso, che le aspettative nei confronti della Juventus sono sempre altissime, da parte dei suoi milioni di supporters così come dalla critica sportiva. Basta steccare una volta per scatenare il pandemonio.

“Conviviamo con la pressione, ci siamo abituati e non ci tocca” ha detto. Però dovrebbe toccarvi, caro vicepresidente, perché – come lei stesso ha ammesso – “la vittoria è nel DNA della Juve, e devi mantenerlo”. Quando non lo mantieni ti devi domandare perché è accaduto, o sta accadendo. E credo, e spero, alla Continassa lo stiano facendo. Tant’è vero che la scorsa estate all’organigramma dirigenziale è stata data una bella shakerata, a cominciare dal non rinnovo della carica a Paratici, l’architetto delle strategie mercantili dell’ultimo biennio. In collaborazione appunto col vicepresidente Nedved. Insieme convinsero Agnelli a prendere Ronaldo, ma insieme decisero pure di ridisegnare il centrocampo coi deludentissimi parametri zero Ramsey & Rabiot.

Sempre insieme hanno costruito la semi-fallimentare Juventus di Pirlo, dalla cui onda lunga è stata investita pure quella dell’Allegri-bis. Parentesi: risulta agli atti che a chiedere due estati fa la rimozione del livornese dalla panchina furono proprio loro, Paratici e Nedved, nonostante il parere negativo del presidente Agnelli. E sempre loro due puntarono su Sarri. Che vinse l’ultimo scudetto della serie, come giustamente Pavel ricorda agli smemorati, però poi decisero di esonerarlo lo stesso.

Il ritorno di Acciuga è la némesi di tutti i loro errori, che Allegri sta ancora scontando (complice pure un bilancio disastrato da spese esponenziali). La pandemìa ha fatto il resto, ma loro due ci hanno messo un bel carico. E a pagare, per ora, è stato uno solo. “In questo momento ha delle difficoltà, ma il futuro è della Juventus” ha assicurato Pavel, ma i margini d’errore, per lui come per il resto del management bianconero, si sono ridotti. Perché alla Juventus “vincere è l’unica cosa che conta”. E lui che è un vero gobbo lo sa.

Buon lavoro, vicepresidente!