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Così non va, non è questa la strada giusta per vincere quella Coppa là. La sfortuna e le maledizioni non c’entrano nulla, sono leggende buone solo a trovare un alibi, a costruire un motivo fittizio rispetto alle reali responsabilità. La Juventus non esce sistematicamente dalla Champions perché le gira sempre male, ma perché commette troppi errori, non cura i dettagli (ve lo ricordate, lo sosteneva pure Dani Alves) non ha mai l’approccio giusto verso questa competizione. E puntualmente la perde. 

Notatelo, succede ormai da anni, e la stagione successiva è uguale a quella precedente. Stessi sbagli, identico canovaccio. Non basta acquistare Cristiano Ronaldo per vincere la Champions, può aiutare ma di certo non è sufficiente, se non cambia la mentalità e l’organizzazione generale del lavoro. Dal modo di giocare alla preparazione atletica (i dettagli, appunto).

Ecco, d’ora in poi la parola d’ordine dovrebbe essere questa: cambiamento.

Così come il club è avanti a tutti gli altri competitors nazionali riguardo alla pianificazione manageriale, altrettanto dovrebbe fare dentro lo spogliatoio e sul campo. Perché le Champions, alla fine, si vincono soprattutto lì, e non solo dietro le scrivanie. Le squadre si costruiscono a tavolino, dopodiché la differenza la fanno quelli che giocano e chi li fa giocare, e come. 

Serve un cambio epocale di mentalità: abbandonare i vecchi schemi e abbracciare in toto la modernità, il nuovo. È necessario uno scatto in avanti nel modo di pensare, nella maniera in cui scendere in campo, in Europa ma anche in Italia. Bisogna osare e, per farlo, serve coraggio, da parte di Andrea Agnelli e del resto della dirigenza juventina. 

Allegri è senza dubbio un bravo allenatore, molto preparato, altrimenti non avrebbe vinto scudetti in sequenza ed altri trofei, ma il suo modo di intendere il calcio è antico, superato, demodé. Troppo basico, eccessivamente ragionato, troppo “italiano”. La fase difensiva prima di tutto, poi il resto. Intere generazioni di nostri allenatori sono cresciute abbeverandosi a questa filosofia, e Allegri ne è uno degli interpreti più ortodossi. “Volete lo spettacolo? Andate al circo” è stata finora la sua replica, piccata, a chi ha provato a mettere in discussione il modo di far giocare la sua squadra. 

Per la Serie A, con la rosa messagli a disposizione dalla società, l’ermetismo funziona, in Europa no. Ha fatto 2 finali, va bene, ma le ha perse (male) entrambe. Ed anche in campionato, nonostante i 18 punti di vantaggio, tutta questa schiacciante potenza in campo la si è vista di rado. Sono più le partite vinte con striminziti e faticosi 1-0 di quelle stravinte per manifesta superiorità. Anzi, spesso la Juve ha dato l’impressione ai suoi avversari di poter essere battibile. Chi ha osato, è riuscito a non farsi battere in campionato e ad eliminarla in Coppa Italia (Atalanta).

Normale che quando poi ti trovi di fronte una squadra di aitanti ragazzoni che corre e gioca meglio di te, vai fuori in Champions. Perché in Europa il solito compitino non lo riesci a fare, serve di più. Occorrono una mentalità, un ritmo, un agonismo, un mood differenti, ma soprattutto serve un’idea di gioco che non possiedi, abituato come sei al tuo solito, melenso ed antico spartito.

Se alla Continassa non l’avessero ancora capito, bisogna spiegargli che per puntare alla Champions servono idee nuove, innovative, che Allegri non è in grado di trasmettere a questa squadra, probabilmente anch’essa sopravvalutata in alcuni elementi. Serve coraggio. Serve la forza di voler cambiare, in panchina e nello spogliatoio. Per una svolta radicale di pensiero sul modo di fare un tipo di calcio al passo coi tempi. Che non è quello praticato dalla Juventus. Madama è rimasta indietro, è davvero troppo Vecchia per lo smartfootball praticato dalla new generation olandese ammaestrata da Ten Hag, ma anche dal calcio di Klopp, di Guardiola, di Pochettino. Il conservatorismo è perdente su tutta la linea. 

Non convincersene sarebbe un errore madornale, e un club proteso all’innovazione come la Juventus non può non capirlo.