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Solito preventivo chiarimento prima di entrare a fondo nel tema: da juventino, sono contento che Juventus - Napoli si rigiochi. Primo, perché il campionato non può privarsi di uno scontro diretto come questo. Secondo, perché le vittorie a tavolino le ho sempre ritenute ingiuste e sgradevoli.

Detto ciò, dopo aver letto le motivazioni del Collegio di Garanzia in merito alla decisione di far rigiocare questa partita, mi sono sempre più convinto che la sentenza del Coni sia stata il prodotto di un accrocchio. Una decisione abnorme, frutto di giochetti politici che, però, sembra andar bene a tutti: ai diretti interessati, alle istituzioni, ai media. Lo dimostra l’assordante silenzio generale (da noi del BN già evidenziato il giorno successivo all’annuncio del dispositivo della sentenza), lo conferma ancora di più l’atteggiamento della Federazione, giratasi dall’altra parte per non guardare. È come se uno assistesse in presa diretta ad una rapina in banca e, anziché chiamare la Polizia, scappasse.

Proprio quello che ha fatto il presidente Gravina, molto più concentrato in queste ore sulla propria rielezione anziché preoccuparsi di un protocollo anticovid strappatogli davanti alla faccia, prima da De Laurentiis e poi da Frattini. Non escludo che il suo atteggiamento pilatesco sulla sentenza Coni sia stato funzionale all’imminente voto federale. Ovvero, far finta di nulla in modo da non perdere voti per strada. Solo ADL, con Napoli e Bari, vale per due, quindi meglio tenerselo buono.

Ci vuole poco per dedurre che la decisione del Coni sia stata la classica fregatura messa in piedi con assoluta maestria. Basta leggere appunto le motivazioni della sentenza, seppur scritte nel peggior burocrotase possibile e infarcita pure da frasi in latino in modo da mescolare meglio le carte (anche questo rientra nella tattica).  

In pratica il Collegio ha spiegato com’è possibile aggirare in modo assolutamente legale il protocollo utilizzando furbescamente la circolare ministeriale del dicastero della Salute datata 18 giugno 2020, quella che prevede l’esecuzione dei tamponi il giorno prima di una gara da parte delle società sportive e permettere così di scendere in campo ai soli negativi, ma al tempo stesso consente pure di non farlo, mettendo sullo stesso piano di un cittadino qualunque anche i giocatori. Come hanno fatto appunto le ASL napoletane, le quali si sono sentite autorizzate ad utilizzare misure più restrittive anche nei confronti dei calciatori partenopei. Questione di commi, e quindi di arzigogoli burocratici.

Domanda: ma il protocollo redatto ed approvato da Federazione, leghe e Ministero della Salute, non avrebbe dovuto scongiurare tutto questo? Ed evitare si verificassero intromissioni gerarchiche o accavallamenti normativi? Considerando che al Collegio del Coni sono stati sufficienti meno di 50 minuti di seduta per ribaltare le decisioni prese dalla giustizia sportiva, dimostra che non è così e che quel protocollo è stato – permettetemi – scritto coi piedi. Ed è grave che in FIGC nessuno si fosse accorto di quanto quel testo fosse vulnerabile, a meno che quella stesura fosse anch’essa figlia di un compromesso politico tra FIGC e Stato che consentisse al calcio di poter disputare i campionati.

Tutto questo dovrebbe spiegarcelo il presidente federale Gravina, strenuo difensore di quel protocollo ma attualmente troppo impegnato nella propria campagna elettorale. Come insegnava il Guicciardini, prima il particulare poscia l’universale.