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L’8 novembre 1998 fece buio presto. Era domenica e il buio sarebbe rimasto per un bel po’. Solo il tempo lo avrebbe dissolto e fatto tornare la luce, lasciando poi posto alla domanda più pericolosa di tutte: “Che cosa sarebbe successo se?”. Che cosa sarebbe successo se il pomeriggio dell’8 novembre 1998 a Udine il ginocchio di un Alessandro Del Piero all’apice della sua carriera non si fosse rotto? E perché ce lo stiamo chiedendo oggi, quando tra qualche mese saranno passati 24 anni da quel giorno?

Perché il buio a volte ritorna. E costringe a conviverci per un po’, in attesa della luce. Ventiquattro: torna anche questo numero. Sono gli anni che intercorrono tra il 2022 e il 1998, ma sono anche gli anni di una fermata inattesa, maledetta e beffarda nella carriera di due tra i talenti più puri ed esaltanti che il calcio italiano abbia sfornato nell’ultimo trentennio e che abbiano indossato la maglia della Juventus. Alessandro Del Piero appunto, e Federico Chiesa. Alex li ha compiuti il giorno dopo il crac di Udine, Federico pochi mesi prima di accasciarsi due volte sul prato di un Olimpico che nella sua storia ha mietuto vittime illustri - Ronaldo, Totti - e promesse luccicanti, Zaniolo e lo stesso Chiesa. 

Non serve necessariamente avere memoria nitida di quel pomeriggio di 24 anni fa per avvertirne le stesse sensazioni. Anche i tifosi della Juventus più giovani sanno che quell’infortunio fu uno spartiacque. Quella Juventus era una grande squadra ma Del Piero ne era il pilastro e quando venne a mancare crollò tutta l’impalcatura: la stagione non potè che prendere una piega disastrosa, sancendo la fine del primo ciclo di Marcello Lippi. Il contesto in cui oggi si verifica l’infortunio di Chiesa ha analogie e insieme differenze rispetto a quello del 1998. Emotivamente non può che spezzarsi il cuore se si pensa che la sfortuna ci abbia messo lo zampino proprio sul più bello: entrambi consacrati da una vittoria internazionale, Chiesa pronto alla scalata, Del Piero pronto a ripeterla. 

E poi, l’identità, seppure in ambiti diversi: Del Piero era il simbolo di una Juventus temuta in Europa; Chiesa è l’emblema di una voglia di rinascita che oggi tiene in vita un ambiente juventino altrimenti deluso e depresso. Se Del Piero era capitano e vessillo di una nave che viaggiava a vele spiegate e che senza si smarrì, Chiesa è un motore che cerca di condurre in porto una barca smarrita e in cerca di certezze. Ci vollero anni prima che quella Juventus ritrovasse la direzione e il suo capitano; non conosciamo il futuro, ma questa Juventus dovrà trovare nuove risorse prima di riabbracciare Chiesa. 

Non conosciamo il futuro, è vero. Ma la storia, quella sì. Può interrompersi, come una partita giocata in una domenica in cui fa buio presto. E spesso si ripete. Il 9 gennaio 2022 solo una folgorante e insperata rimonta ha per un attimo illuminato il mare scuro. In attesa che torni la luce voltiamoci indietro a guardare: “Che cosa sarebbe successo se…?”. Meglio rispondere con ciò che è accaduto davvero: Del Piero è tornato e ha riportato la Juventus alla vittoria, ha vinto un Mondiale, è sceso con la sua Signora negli abissi e poi è riemerso, ha vinto ancora. Perché non serve necessariamente una nitida memoria di quel pomeriggio per ricordarsi che dopo lo sconforto, tutti sapevano rispondere alla domanda: “Che cosa succederà?”. Lo sappiamo anche oggi: Chiesa tornerà. La Juventus e le vittorie sono lì ad aspettarlo.