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Sulle colonne del Corriere dello Sport, Federico Chiesa ha raccontato presente, passato e futuro. Con un sguardo interessato al domani in una big. 

Chiesa, quando è venuto qui su questi campi, per la prima volta?
“Avevo sei anni. E il mio unico pensiero è sempre stato quello di scendere in campo e divertirmi”.

Ha mai sognato di essere quello che oggi effettivamente è, un giovane talento?
“Vedendo mio padre giocare, non nascondo che speravo anche io di arrivare ad esordire nel calcio che conta”.

Da qui è iniziata anche la storia calcistica di suo fratello Lorenzo, oggi nel vivaio viola. Ma è davvero più bravo di lei?
"Secondo me sì (ride, ndr), sono convinto che si potrà togliere delle belle soddisfazioni. Ma adesso, anche lui, si sta prima di tutto divertendo, come è giusto che sia”.

Dopo Fiorentina-Atalanta, lei non ha mai parlato: vuole rispondere a Gasperini?
“No. Io devo pensare al campo, a giocare. Ha già parlato a sufficienza la mia società, la Fiorentina. Per me è acqua passata”.

Che significa per un ragazzo che compirà 21 anni tra meno di 10 giorni sapere che la valutazione che di lei fa il Cies, l’osservatorio europeo del calcio, è oltre i 60 milioni?
“Io penso solo di dover dimostrare sempre il mio valore, anche se questi numeri mi paiono un po’ esagerati. La mia unica priorità è far vedere, domenica dopo domenica, chi è Federico Chiesa. Ora la mia testa è tutta per il Cagliari".

Ma lei, al fantacalcio, per 60 milioni chi comprerebbe?
"Datemene qualcuno in più… perché altrimenti per un top player mica bastano. Per 200 mi prendo Mbappé".

Possibile che il mercato non l’abbia mai distratta nemmeno per un secondo?
“Io ora sono felice qui, alla Fiorentina. E, ripeto, penso solo alla prossima gara”.

Si sente il capostipite del “Rinascimento azzurro”?
“Questa è un’Italia giovane, c’è ancora tanta strada da percorrere. La mia priorità è unicamente quella di farmi trovare pronto dal ct: io non mi sento né un titolare né un pilastro, voglio solo dimostrare di meritare l’azzurro e lavorerò per far sì di poter festeggiare la prossima convocazione”.

Quale il giocatore, escluso papà, che, da bambino, le piaceva più di tutti?
“Senza dubbio Kakà. Come attaccante mi ha sempre affascinato Shevchenko”.

Il calcio di oggi è sempre più ricco di figli d’arte: lei, Cholito Simeone, Justin Kluivert, Federico Di Francesco. Sono più gli oneri o gli onori?
“Io posso parlare per me: il supporto di mio padre è fondamentale, così come quello di mamma. La mia famiglia è un pezzo della mia forza”.

Lei è il re dei dribbling in Serie A, sei solo nell’ultima gara. In più prende anche diverse… botte durante i 90 minuti: ma c’è ancora qualcosa da migliorare?
“Sì, soprattutto in merito alle scelte. Il dribbling è un pregio, così come i falli che subisco fanno parte dl gioco. Sto dove l’allenatore mi chiede di stare e Pioli, destra o sinistra non fa differenza. Anche in Nazionale, il cross per Bernardeschi l’ho inventato da sinistra, quello per Insigne da destra”.

L’immagine dell’abbraccio con Lorenzo, il piccolo Chiesa, ha fatto il giro del web: che cosa vi siete detti?
“In realtà lui mi ha detto solo “Grande Fede”. Prima della gara, però, parlando con mio padre, ci avevamo quasi scherzato su, sapendo che a bordo campo ci sarebbe stato lui. “Se segni, vallo ad abbracciare” mi aveva detto. Quella cosa mi era rimasta dentro e l’ho fatta davvero”.

Lei lo ha mai fatto il raccattapalle?
“Sì, con la Fiorentina e anche quando mio babbo giocava a Figline. Ricordo ancora il suo gol in un derby contro la Sangiovannese: lui segnò e corse verso di me. Diciamo che… è una questione di famiglia”.

Alla prima partita giocata, allo Stadium, quasi non volevano farla rientrare nello spogliatoio: adesso invece la riconoscono tutti.
“Quello è stato un episodio divertente, figuriamoci che mi scusai persino. Non ci feci nemmeno troppo caso, tanta era l’emozione”.

Come procedono gli studi universitari?
“Bene, sono iscritto a Scienze Motorie, mia mamma mi segue da vicino. E sono felice di questo altro percorso di vita: del resto, anche in Nazionale, ho esempi di un certo spessore, basta pensare a Chiellini”.

Paulo Sousa è stato il suo primo allenatore da professionista: quale il consiglio che non dimenticherà mai?
“Da lui ho imparato tantissimo, resterà il mio padre calcistico. Ha avuto un gran coraggio, ha intravisto in me quel qualcosa in più che lo ha convinto a lanciarmi. E non mi ha mai fatto mancare la fiducia: in fondo avevo poco più di 18 anni”.

E quello di Pioli?
“Mi ha fatto capire fin dall’inizio dove migliorare, in fatto di scelte e ci stiamo lavorando ancora. Nell’arco dei 90 minuti, basta anche solo una palla per vincere 1-0 e la scelta che fai in quel momento può diventare la più importante”.

Di Biagio prima e Mancini dopo, con l’Italia, a lei non hanno voluto rinunciare.
“Mancini sta dando inizio adesso ad un nuovo progetto. Ci ha sempre detto di giocare tranquilli e leggeri, senza pressioni. A Di Biagio devo invece il mio esordio in azzurro, è stato lui a portarmi agli Europei Under 21”.

Nelle ultime convocazioni di Mancini, in azzurro c’erano tre giovani figli del settore giovanile della Fiorentina: lei, Bernardeschi e Piccini. Che cosa ha di speciale?
“C’è una grande organizzazione, ti fanno capire fin da piccolino che cosa significa vestire la maglia della Fiorentina. Il professor Vergine ci ha sempre ripetuto una frase: “Si vince approcciandosi dal primo minuto con la giusta voglia ed il necessario entusiasmo”. Aveva ragione”.

L’Italia ha decretato la retrocessione della Polonia eppure Piatek è il capocannoniere in Italia. Come si spiega questo?
“Magari è perché contro l’Italia non ha giocato (ride, ndr)”.

L’Italia può davvero sognare il primo posto in Nations League e battere il Portogallo? Anche quello con Cristiano Ronaldo?
“Noi siamo pronti per giocare questo tipo di partite”.

Che cosa significa giocare nella squadra più giovane d’Europa?
“Che ci capiamo in un attimo. E poi abbiamo grande fame di arrivare. Ci divertiamo e puntiamo sempre a migliorare”.

Con questa stagione, lei potrebbe arrivare a 100 presenze con la Fiorentina in Serie A: che effetto le fa?
“Con grande sincerità, non ci penso”.

Al Franchi, siete stati protagonisti di un percorso fin qui netto: 4 gare 4 vittorie. In campionato, resiste il record di Prandelli con 6 successi interni consecutivi. Possibile anche fare meglio?
“Sì, anche perché a Firenze abbiamo la spinta della nostra gente. Per noi i tifosi sono davvero il dodicesimo uomo in campo, non è la solita frase fatta”.

Dopo le belle prestazioni esterne con Inter e Lazio, siete pronti anche a prendervi i primi tre punti?
“In trasferta, fin qui, forse, ci è mancata la giusta furbizia, mista all’esperienza, ma siamo fiduciosi. Stiamo lavorando tanto”.

In Champions l’Italia riuscirà a portare tutte le sue squadre agli ottavi?
“Mi auguro di sì, perché sarebbe un segnale importante per tutto il movimento”.

L’Europa League è l’obiettivo minimo per la Fiorentina?
“E’ il nostro obiettivo, così come fare il meglio possibile in Coppa Italia e in campionato”.

Il legame di sangue tra Firenze e la Fiorentina ormai è un marchio. E’ questa la strada indicata da Astori?
“Davide per tutti noi era IL capitano, uno da 110 e lode in campo e fuori. Legava tutto lo spogliatoio. Quando arrivò Hugo in ritiro, nonostante non parlasse una parola d’italiano, era lui, a gesti, a fargli capire che cosa chiedeva l’allenatore, così come con i francesi. Ogni volta che arrivava un nuovo giocatore, dopo essere stato aggiunto alla nostra chat su Whastapp, era sempre suo il primo messaggio con scritto, “Ciao, benvenuto”. Quando io sono entrato per la prima volta al centro sportivo, ricordo ancora che c’erano lui e Bernardeschi. Fu Davide il primo a salutarmi. A tavola, ho sempre avuto il posto accanto al suo perché lui mi fece sedere lì. Quel posto lì è rimasto il suo: Davide è sempre con noi”.