Chiellini è davvero l’ultimo samurai bianconero di una generazione in via di estinzione. La Juventus, nel corso della sua lunga e leggendaria storia, ha quasi sempre avuto al centro della difesa un lottatore che potrebbe comodamente competere con i contemporanei supereroi della Marvel. Con la differenza sostanziale che loro erano autentici e non frutto del genio cinematografico o fumettistico.
Io non l’ho visto personalmente, ma ho sentito raccontare e sue gesta. Quelle di Carlo Parola, poi conosciuto come allenatore bianconero, la cui potenza e la cui temerarietà lo rendevano praticamente insuperabile nella sua area di rigore. Iconica la fotografia, mai ingiallita, della sua rovesciata a toccare in cielo con la maglia della nazionale.
Vidi, invece, da ragazzino Rino Ferrario che i tifosi e i compagni avevano soprannominato “mobilia” ovvero “armadio”. Quell’appellativo così singolare non aveva necessità di spiegazioni. Soprattutto per gli avversari. Poi quando sul finire degli Anni Sessanta le strade si riempivano di ragazzi sognatori che predicavano la lotta dura senza paura, la Juventus poté contare su di un simbolo ideale in quel senso. Era Giancarlo Bercellino, detto Berceroccia, che rammento di aver visto combattere e vincere in campo su una gamba sola perché l’altra gliel’avevano quasi spezzata in una fase del gioco.
Poi, andando avanti nel tempo, quello che era lo stopper ovvero l’ultima barriera ebbe altri nomi. Francesco Morini e Sergio Brio, due giocatori che si diceva avessero i piedi come arri da stiro ma che possedevano un cuore da pirata. Anzi da Samurai. Come Garzena, Furino, Benett e Gentile i quali però ricoprivano altri ruoli. Oggi rimane Giorgio Chiellini a rappresentare quella stirpe destinata ad estinguersi perché il calcio non è più un gioco da eroi. Neppure per i bambini.