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Non ci voleva proprio. Sembra una maledizione, ma nel momento in cui la Juventus stava ritrovando grazie all’arrivo di Andrea Pirlo il suo antico aplomb di Vecchia Signora educata e rispettosa è arrivato il miserevole caso Suarez a intorbidire nuovamente le acque. Un motivo per chi ha in uggia la Juventus di scatenarsi in antichi “j’accuse” contro i poteri forti. Una faticaccia boia per i tifosi bianconeri di vecchia data per digerire un boccone avvelenato.

Probabilmente questo “giallo etico” finirà per sgonfiarsi al pari di tante altre vicende di malcostume all’italiana. Al di là della inammissibile figuraccia rimediata dai cinque rappresentanti del collegio universitario di Perugia, troppi sono i nodi da sciogliere con la trasparenza che il “caso” meriterebbe è difficile sarà dare un senso anche sotto il profilo investigativo agli equilibrismi di avvocatura dialettica dei protagonisti “indiretti” della vicenda (leggi dirigenti e avvocati bianconeri).

Il confine giuridico e giudiziario tra ciò che si può fare e quel che in nessun caso si dovrebbe fare per raggiungere un determinato obbiettivo non è assolutamente netto sicché, alla fine della fiera, sarà estremamente complicato se non impossibile far emergere la ”vera verità” sulla partecipazione attiva e consapevole dei responsabili bianconeri alla truffa. Sicuramente a pagare saranno i professori mentre sul resto calerà il silenzio di un ragionevole dubbio.

Ebbene, proprio questo dubbio destinato a non svanire mi infastidisce e soprattutto mi rattrista. Non potrebbe essere altrimenti per chi ha amato la Juventus in maniera quasi viscerale fin dai tempi della prima giovinezza. Una squadra mitologica composta da personaggi persino letterari, da Sivori a Platini, da Zoff a Paolo Rossi, da Baggio a Del Piero. Una società potente ma mai prepotente, fascinosa ed elegante, i cui vertici perseguivano non solo la vittoria ma anche il modo in cui veniva ottenuta. Era la Juventus dell’avvocato Gianni Agnelli, di Giampiero Boniperti e del dottor Giuliano. Era odiata perché temuta, certamente non perché cercava vie traverse e scorciatoie contrarie all’etica sportiva.

Dopo i carismatici “governatori”, arrivarono alla gestione il fratello dell’Avvocato, Umberto, e con lui quelli della tristemente celebre triade. Con l’erede cadetto al comando e con Giraudo, Moggi e il talvolta inconsapevole Bettega la società bianconera perse il fascino di Vecchia Signora per la quale a contare era la classe e non lo stile e si trasformò una donna dai facili costumi per via della presunzione e del malinteso concetto del potere che animava il nuovo gruppo dirigente. Quel che accadde lo sanno anche e bambini delle elementari.

Ecco perché dico che sembra essere una maledizione. Guarda caso oggi a guidare la Juventus c’è Andrea Agnelli che è il figlio secondogenito di Umberto e il “figlioccio” di Antonio Giraudo. Certamente voler paragonare lo scandalo di Calciopoli alla farsa perugina di Suarez sarebbe come equiparare una coltellata al cuore con un pugno sui denti. Impossibile e ingiusto. Ma è il principio che conta e fa male. La percezione fastidiosa è quella che, talis pater talis filius, Andrea Agnelli possieda la medesima filosofia e metodologia del genitore ispirata a quel pericoloso concetto di intoccabilità che spinge a credere di poter fare e disfare a proprio piacimento senza pagare pegno. Di sicuro vi è che la Juventus dell’Avvocato e di Boniperti, quella per la quale si provava vero amore, non sarebbe mai caduta così miseramente in una trappola per topi.