commenta
Spari nella notte e cani massacrati a terra, giustiziati con una pallottola in testa. Nelle strade Taghazout, un paese del Sud del Marocco, dal centro dell’abitato lungo i vicoli che portano alle spiagge, una trentina di cani randagi sono stati uccisi così, a fucilate. Lo stesso accadeva, praticamente contemporaneamente, ad Aourir e nella famosa Agadir. Dietro alla strage dei randagi ci sarebbe, secondo le associazioni animaliste locali, la possibile candidatura del paese a sede dei prossimi Mondiali di calcio del 2026 e la sempre maggiore aspirazione a trasformarsi in aree di attrazione turistica di queste cittadine. A denunciare i fatti sono stati per primi proprio i turisti che, terrorizzati da ciò a cui stavano assistendo, hanno cominciato a postare sui social foto, video e notizie su quanto vedevano. Le denunce sono state poi confermate dalle associazioni locati e fra queste, l’italiana Stray Dogs International Project che il territorio marocchino in questione lo conosce molto bene avendo avviato, grazie al lavoro degli educatori cinofili Clara Caspani e Lorenzo Niccolini, uno straordinario progetto di convivenza pacifica con i randagi della zona che ha fatto del Marocco un vero e proprio modello per l’integrazione e la libera convivenza tra uomini e cani

Avvelenamento e pallottole - Quattro anni di intervento diretto – raccontato anche da molti reportage nati dalle cosiddette «working holidays» organizzate per condividere la loro esperienza con altri appassionati – per dimostrare che la convivenza è non solo possibile ma straordinariamente efficace. Un progetto così ben fatto, da aver attratto anche l’Università di Vienna, interessata a replicarlo facendolo diventare un caso internazionale. Due petizioni già on line, una indirizzata al re de Marocco - l’altra rivolta al Ministro degli Interni e al Capo del Governo - stanno cercando di opporsi ai massacri che però, si sottolinea, non sono una novità. Già in più occasioni le istituzioni marocchine hanno utilizzato l’avvelenamento o le pallottole contro le malattie frutto del randagismo, prima fra tutte la rabbia. Ed è proprio contro questi veri e propri stermini che si sono mosse le associazioni locali come, ad esempio, Le coeur sur la patte che, sostenuta anche dalla Fondazione Brigitte Bardot, lavora da molto tempo su questo territorio e nel 2016 ha firmato una convenzione con le istituzioni locali, che ha permesso di lanciare un programma di sterilizzazione e vaccinazione contro la rabbia e ridurre la popolazione di cani randagi con metodi non violenti. Molti però temono che dietro alle orribili immagini postate sui social da alcune persone presenti durante la strage dei randagi marocchini, ci sia la possibile candidatura ai Mondiali del 2026. E anche in questo caso non sarebbe la prima volta che l’idea di ripulire le strade dalla presenza di cani e gatti randagi si fa strada tra le istituzioni che aspirano ad offrire un’immagine quanto più edulcorata possibile dei territori candidati a diventare sedi di competizioni internazionali. 

Il precedente in Ucraina - Successe in Ucraina, sede degli Europei di calcio del 2012, che vide i randagi uccisi con il veleno per topi, a bastonate e a fucilate portando alla nascita di “Boycott Euro 2012” e dell’associazione Rifugio Italia dell’italiano Andrea Cisternino contro la pratica brutale – la sede dell’associazione subì nell’aprile del 2015 un incendio doloso che portò alla morte di 75 cani -. Sta succedendo anche in questi mesi nella Russia di Putin, come denuncia già da molto tempo Ekaterina Dmitrieva che con la sua organizzazione Urban Animal Protecting Fund tenta di cambiare la sorte di milioni di cani destinati alla morte per ripulire le strade di una ventina di città dove si svolgeranno le competizioni. La sua petizione ha raggiunto già quasi 1 milione e 800 mila firme, e lei denuncia «Non è una novità. Era già successo prima delle Olimpiadi di Mosca del 1980».

Di Maria Grazia Filippi, da La Repubblica.