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Cani randagi massacrati a Taghazout: problema per i Mondiali di calcio del 2026
Avvelenamento e pallottole - Quattro anni di intervento diretto – raccontato anche da molti reportage nati dalle cosiddette «working holidays» organizzate per condividere la loro esperienza con altri appassionati – per dimostrare che la convivenza è non solo possibile ma straordinariamente efficace. Un progetto così ben fatto, da aver attratto anche l’Università di Vienna, interessata a replicarlo facendolo diventare un caso internazionale. Due petizioni già on line, una indirizzata al re de Marocco - l’altra rivolta al Ministro degli Interni e al Capo del Governo - stanno cercando di opporsi ai massacri che però, si sottolinea, non sono una novità. Già in più occasioni le istituzioni marocchine hanno utilizzato l’avvelenamento o le pallottole contro le malattie frutto del randagismo, prima fra tutte la rabbia. Ed è proprio contro questi veri e propri stermini che si sono mosse le associazioni locali come, ad esempio, Le coeur sur la patte che, sostenuta anche dalla Fondazione Brigitte Bardot, lavora da molto tempo su questo territorio e nel 2016 ha firmato una convenzione con le istituzioni locali, che ha permesso di lanciare un programma di sterilizzazione e vaccinazione contro la rabbia e ridurre la popolazione di cani randagi con metodi non violenti. Molti però temono che dietro alle orribili immagini postate sui social da alcune persone presenti durante la strage dei randagi marocchini, ci sia la possibile candidatura ai Mondiali del 2026. E anche in questo caso non sarebbe la prima volta che l’idea di ripulire le strade dalla presenza di cani e gatti randagi si fa strada tra le istituzioni che aspirano ad offrire un’immagine quanto più edulcorata possibile dei territori candidati a diventare sedi di competizioni internazionali.
Il precedente in Ucraina - Successe in Ucraina, sede degli Europei di calcio del 2012, che vide i randagi uccisi con il veleno per topi, a bastonate e a fucilate portando alla nascita di “Boycott Euro 2012” e dell’associazione Rifugio Italia dell’italiano Andrea Cisternino contro la pratica brutale – la sede dell’associazione subì nell’aprile del 2015 un incendio doloso che portò alla morte di 75 cani -. Sta succedendo anche in questi mesi nella Russia di Putin, come denuncia già da molto tempo Ekaterina Dmitrieva che con la sua organizzazione Urban Animal Protecting Fund tenta di cambiare la sorte di milioni di cani destinati alla morte per ripulire le strade di una ventina di città dove si svolgeranno le competizioni. La sua petizione ha raggiunto già quasi 1 milione e 800 mila firme, e lei denuncia «Non è una novità. Era già successo prima delle Olimpiadi di Mosca del 1980».
Di Maria Grazia Filippi, da La Repubblica.
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