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Il caldo africano e il tasso di umidità indiana non c’entrano. Se anziché Leonardo Bonucci, al medical center bianconero, si fosse presentato per sostenere le canoniche visite un altro “pincopallino” qualsiasi di giocatore state certi che un numero almeno decente di tifosi si sarebbe radunato per aspettarlo e per augurargli buona fortuna.

Al contrario, si è dovuta registrare l’immagine del difensore che stava tornando nella sua “casa” professionale senza neppure il contorno e il conforto di un meticcio randagio. Una scena abbastanza desolante che non avremmo voluto vedere perché assolutamente ingiusta suggerita da motivazioni, magari anche comprensibili a livello emotivo, ma non per questo accettabili.

Probabilmente questo status di abbandono popolare che lo stesso giocatore non avrà potuto fare a meno di notare paradossalmente potrebbe rivelarsi positivo perché gli fornirà ulteriore carica interiore e provvederà a raddoppiare la sua volontà di riconquista. Ciò non toglie che l’accoglienza avrebbe dovuto essere diversa. Non clamorosamente popolosa e sonora, ma certamente adeguata per un professionista il quale comunque tornerà ad essere un elemento prezioso per il buon funzionamento della macchina Juventus.

Quella dei tifosi è una categoria strana. Per loro il concetto di bandiera e di attaccamento ai colori continua ed essere una filosofia sportiva ineludibile almeno a livello ideale, salvo poi dover prendere atto che il calcio oggi è profondamente diverso da quello tutto cuore, sudore e sangue di un tempo decisamente meno manageriale. In ogni caso, pur rispettando l’ideologia oltranzista della piazza, gli stessi ultras che accusano Bonucci di alto tradimento e che non sembrano intenzionati ad accettare il suo “pentimento” dovrebbero chiedersi chi di loro è talmente perfetto da non aver mai commesso errori nella vita. Insomma, chi se la sente di lanciare la prima pietra? Onestamente credo proprio nessuno.

Al proposito mi piace ricordare un altro esempio di giocatore che dopo aver tradito tornò sui suoi passi e fece lesto ritorno alla Juventus. Un campione, anche lui, ovvero Fabio Cannavaro il quale un giorno pensò di continuare la sua brillante carriera addirittura al Real Madrid. Una scelta fallimentare nonostante il suo nuovo prestigioso club che, tra l’altro, perse due partite su due ai gironi di Champions contro i bianconeri allora guidati da Claudio Ranieri. Cannavaro si accorse dell’errore e quando decise di tornare nessuno si sognò mai di dire che Fabio Cannavaro “non era uno di noi”. Come lo è Leonardo Bonucci al quale, almeno noi, diamo il bentornato.

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