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Il presidente del Brescia, Cellino, non è un rigoroso moralista. Eppure Mario Balotelli è riuscito a sfinire persino lui che lo ha licenziato per giusta causa come un fannullone qualunque. Sicché, dopo i titoli di coda, sullo schermo ora appare la classica dicitura “the end” con la quale viene codificata la fine del film. E’ infatti assai difficile immaginare che la complicata storia professionale legata al nome di un giocatore il quale di “super” possedeva evidentemente soltanto il suo spropositato ego possa avere un seguito. E l’impressione è che se mai dovessimo rivedere Balotelli in televisione sarà probabilmente in una nuova edizione dell’ “Isola dei famosi”.

COME FARSI MALE - Otto anni, quelli che per un professionista del pallone rappresentano almeno la metà della carriera. Mario li ha sciupati con una cocciuta puntualità che ha dello sbalorditivo quasi senza rendersi conto che non solo offendeva tutti coloro i quali, malgrado tutto, continuavano a concedergli fiducia ma soprattutto prendeva a schiaffi sul viso la “dea fortuna” che con grande magnanimità gli aveva offerto su un piatto d’argento tutto ciò che giovani meno “protetti” dal destino di lui avrebbero potuti desiderare. In parole semplici si tratta di un arte suicida della serie “come farsi del male da soli”. Balotelli ci è riuscito benissimo fallendo clamorosamente anche l’ultimo esame di riparazione che la ”sua” Brescia gli aveva consentito di sostenere.

L'HARAKIRI DI VIERI SR - Una storia che va ad allungare la lista, fortunatamente non popolatissima, di altre più o meno simili caratterizzate dalla formula mio-dio-quanto-spreco. Succede in tutti i settori della vita, quindi anche nel calcio. Esempi di harakiri come quello del  brasiliano Adriano che veniva indicato come l’erede di Ronaldo all’Inter oppure quello anche lui nerazzurro della stella emergente Macellari bruciato da frequentazioni pericolose e oggi ristoratore. Il più clamoroso, prima di quello balotelliano, rimane in ogni caso legato alla figura di Roberto Vieri, detto Bob, ovvero il padre di Bobo.
Un toscano testardo e innamorato di se stesso che possedeva sul piano calcistico qualità eccezionali da autentico talento. Fulvio Bernardini, grande conoscitore di uomini e di campioni, intuì immediatamente il valore di quel ragazzo “da strada” e praticamente lo adottò come avrebbe potuto fare con un figlio. A sue spese gli fece persino rifare l’intera arcata dentaria messa a dura prova dalla sua vita esagerata. Divenne l’idolo della Sampdoria e oggetto del desiderio della Juventus del presidente Catella allenata da Carniglia e Rabitti. Ottocento milioni più Romeo Benetti ai blucerchiati, Vieri e Francesco Morini alla squadra bianconera. Lui, Bob, avrebbe dovuto far rivivere ai tifosi la grande bellezza di Omar Sivori. Ma non bastava giocare con i calzettoni arrotolati alla cacaiola per replicare le gesta del campione argentino. La miseria di tre gol e il record di multe dopo notti brave e alcoliche. Un flop clamoroso. Senza il suo padre adottivo, del quale lui aveva scordato gli insegnamenti, la stella Vieri si spegneva per autocombustione. Roma, Bologna e stessa musica. Se ne andò in Australia, a Melbourne, con tutta la famiglia dove tentò di giocare nella squadra italiana del Marconi. Lo trovammo lì, al bancone dello spaccio che aveva aperto, durante una tournée della Juventus in Australia. Si mise a piangere, disperato, indicando i suoi figli che giocavano in un cortile di sabbia. Morini, team manager della squadra, si intenerì e gli promise che avrebbe fatto di tutto per riportare lui e la sua famiglia in Italia. Il seguito è noto a tutti. Come la storia di Bob, autentico fuoriclasse nel farsi male da solo.

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