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Quando Insigne aveva la palla sul destro, a sinistra, sapeva esattamente dove metterla anche senza guardare: la piazzava sul palo lontano, perché lì trovava Callejon in corsa. E quando Mertens si tuffava in area, sul primo palo o al centro, era sicuro che l’assist - spesso rasoterra per ovvie ragioni di centimetri - gli sarebbe arrivato proprio lì, dov’era più facile da sfruttare. Tutti erano a conoscenza dei movimenti del Napoli, ma erano messi in pratica così bene e rapidamente, ed erano così vari, che nessuno era capace di arginarli. Nacque così il sarrismo e la Treccani inserì questo termine addirittura nella sua enciclopedia.

“Ho parlato con Ronaldo, Douglas e Dybala e hanno deciso che in mezzo, contro il Napoli, dovesse giocare Paulo”. Questa frase, pronunciata da Sarri dopo la sconfitta in Coppa Italia e riferita ai giorni che hanno preceduto la finale, ha decretato la morte del sarrismo. Dalle azioni mandate a memoria dal Napoli siamo passati, in buona sostanza, al “fate come vi pare”. Una sconfitta per l’uomo degli automatismi, dei  mille schemi, della perfezione fatta calcio. Dicono che alla Juve non abbia trovato gli uomini giusti per mettere in pratica il suo calcio ed è anche vero, ma se a distanza di un anno dall’arrivo a Torino il buon Sarri ancora non ha un’idea chiara sul modo in cui devono muoversi i suoi attaccanti, allora il problema è più profondo e questo allenatore non è più se stesso.

Non resta che capire, adesso, se Sarri tratterà la Juve come la Juve ha trattato lui. E cioè se, dopo che questa ha ucciso il sarrismo, lui farà altrettanto con lo juventinismo. Termine non contemplato dalla Treccani, ma così descrivibile: capacità tutta e solo bianconera di vincere sempre, indipendentemente dalla qualità del gioco. Per il momento Sarri ci sta riuscendo, visto che la Supercoppa italiana è andata alla Lazio e la Coppa Italia al Napoli. Restano i due trofei più importanti, scudetto e Champions. Lo juventinismo è ancora vivo, però Maurizio è in agguato.

@steagresti