commenta
La morte di Pietro Anastasi ha lasciato sbigottiti tanti degli appassionati di calcio che hanno ammirato o sentito narrare delle gesta del centravanti catanese. Juventini e non hanno accolto la notizia con tristezza, sapendo che la Sla si era portata via anche lui. Una malattia che fa molte vittime tra i calciatori, ma di cui la moglie Anna non ha mai voluto fare parola con Anastasi, non prima che diventasse necessario. Ecco le sue parole, a ilgazzettino.it.

LA SLA - "Tutto è cominciato a febbraio di tre anni fa. Mio marito aveva un problema alla mano destra, non riusciva a impugnare bene la forchetta. Così siamo andati in ospedale e ci hanno detto che era meglio ricoverarlo, fare tutti gli esami. Hanno scoperto che aveva un tumore all’intestino e la Sla. È stato operato subito per il tumore e sottoposto alla chemioterapia, riuscendo a sconfiggerlo. Ma io ho deciso di non dirgli niente della Sla. I miei figli si fidano di me, erano d’accordo"

SEGRETO - "Sì. Ho preferito che non sapesse nulla per proteggerlo. Lui aveva sempre in mente Stefano Borgonovo, morto nel 2013 proprio a causa della Sla. Quando si parlava della malattia lui citava sempre la storia di Borgonovo e io, ricordandomi di questo, non volevo farlo stare male. Finché non si sono manifestati segni evidenti, stavo zitta"

PEGGIORAMENTO - "Era sempre peggio: “Anna, faccio fatica a camminare, a respirare, a muovere le mani e le braccia”. Io lo aiutavo, cercando di non fargli pesare nulla per non preoccuparlo, minimizzando, come se fosse stato un male passeggero. Pietro ha voluto che licenziassi una signora che ci aiutava, perché non voleva che lo vedesse in quelle condizioni. Arrivati a quel punto, però, anche lui aveva capito. Muoversi diventava sempre più difficile, qualsiasi minimo gesto quotidiano si trasformava in un’impresa insormontabile. Finché un giorno, tre mesi fa, l’ho guardato negli occhi e gli ho detto: “Sai cos’hai?”. E lui mi ha risposto: “Sì, ho la Sla”. Ed è rimasto a lungo in silenzio"

GLI ULTIMI GIORNI - "Ha resistito fino a che ha potuto, la scorsa settimana ha ceduto. “Facciamoci ricoverare in una struttura io e te”, mi ha proposto. Da solo senza di me non avrebbe accettato di andare da nessuna parte. E così mercoledì siamo entrati in questo hospice a Varese. Avevamo un mini alloggio tutto per noi, con due letti, un divano e la cucina. A pranzo ha mangiato, uno dei tanti problemi per lui era proprio quello di nutrirsi. Aveva rinunciato all’accanimento terapeutico, scrivendo su un foglio che rifiutava di essere rianimato. Ha anche rifiutato la tracheotomia alla quale gli avevano consigliato di sottoporsi. Quindi è arrivata una dottoressa, una persona davvero splendida, ha parlato con mio marito e gli ha prospettato la sedazione con una puntura. Si sarebbe addormentato e non si sarebbe mai più svegliato. È andata proprio così ed è avvenuto tutto molto rapidamente"

AL SUO FIANCO - "C’eravamo io e mio figlio. “Mi faccio sedare”, ci ha comunicato. "No, aspetta", l’ho pregato. Ma aveva deciso. Ha salutato l’altro nostro figlio che sta in America, chiamandolo via Skype, e alle sette di sera si è addormentato. Alle dieci e mezza era morto. Questa è una cosa che si fa solo se ci si ama e prima di morire mio marito mi ha detto delle parole bellissime. Parole d’amore".