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Eni non ha parlato, al termine di Juve-Fiorentina. Neanche sui social, dove si è limitata a condividere le foto, gli abbracci, la bozza di festa che i tifosi le hanno preparato. L'Erasmus a Torino è finito in una polveriera e lei non ha avuto l'ardire di andare oltre un 'grazie': sentito e forte, però certamente intriso di un picco di delusione che in questi giorni ha appesantito il suo addio. Non è stato capito, il suo racconto al Guardian. Dagli italiani e dalla sua stessa società. E lo sfogo s'è fatto inevitabile tracollo, la più grande sconfitta. Ma il campo qui non c'entra mai.

DALLA JUVE - La scelta di Guarino di non schierarla nell'ultimo atto è stato l'ultimo fendente di una storia che non solo meritava altro finale, ma anche altro sviluppo. Lo meritava il messaggio, soprattutto. Tanto delicato da sembrare terreno fertile per un appoggio incondizionato da parte di chi aveva creduto in lei. Invece la Juventus ha fatto spallucce. Non ne ha preso le distanze, però ha sottolineato l'estraneità ai fatti. Una sciacquata di mani che si riflette nel discorso giusto e coerente di Braghin. Non è esattamente il più felice dell'atteggiamento della sua ex numero nove, ma fa bene a sottolineare l'integrità etica del percorso cristallino (anche in termini di integrazione) delle Women. Resta indiscutibile.

RUMORE - I musi lunghi arrivano perché hanno fatto rumore, quelle parole. E quando il rumore si accompagna al simbolo della Juventus, allora si fa sempre caos. Parole che hanno raccolto la risposta della sindaca Appendino e si sono fatte centro nevralgico dell'ennesima puntata di un dibattito politico che non sembra ormai avere altri temi. Parole con cui Aluko ha fatto breccia nell'opinione pubblica, parole che hanno composto un racconto che a noi tutti è sembrato parte di un quotidiano classico, scontato, frutto sì di ignoranza altrui ma di un'ignoranza che nel nostro subconscio abbiamo accettato senza farci più troppe domande, senza più pretendere risposte. Parole che non ci hanno sorpreso, insomma. Ed è da queste parole, e da questo rumore, che in realtà ricaviamo la vera morale del messaggio di Aluko: il fatto che sia normale non è normale. Siamo solo noi ad aver mollato il colpo, a darla vinta a chi per indole sa solo urlare più forte. Ma ogni piccolo episodio - anche se non raccontato tempestivamente - non merita forse di avere la sua dignità di racconto e denuncia? Eni si è congedata tra silenzi, panchina e magone. Le parole, quelle parole, hanno però fatto tantissimo. Più di quanto potesse immaginare. E forse va solo ringraziata per il coraggio.