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La passione è il motore che consente al calcio di vivere e di prosperare. La passione è anche quel sentimento che, spesso, impedisce alla ragione di dominare e di domare le pulsioni istintive. Emotività e logica non sono buone parenti.

Massimiliano Allegri, dopo la batosta rimediata a Madrid, è stato praticamente tritato vivo nei giudizi della tifoseria bianconera che lo ha additato come il primo responsabile della pesante sconfitta subita dalla Juventus. L’epiteto più carino o meno pesante rivolto al tecnico è stato quello di “bollito”. Una reazione a senso unico eccessiva e per certi versi immotivata.

Posso ben immaginare e anche di condividere il grado di delusione cocente del popolo juventino però, proprio per evitare giudizi di pancia e basta, ho cercato di individuare una motivazione logica per le cose che Allegri ha fatto e per quelle che non ha fatto ma avrebbe potuto fare per evitare l’inattesa batosta contro la squadra di Simeone. Fermo comunque restando la realtà che in campo c’erano i giocatori.

Il problema, a mio avviso e quindi opinabile, non si trova esclusivamente in quel “maledetto mercoledì” di Champions gestito male dalla panchina ma è spalmato in maniera molto più ampia. Allegri è l’allenatore della Juventus da un numero di anni quasi impensabile rispetto al tradizionale rapporto tra società e tecnici. Per ciascuno di essi, anche per i più capaci e carismatici come Trapattoni e Mourinho, arriva il momento di dire basta e di cambiare situazione aziendale. Non perché la loro abilità lavorativa si sia sciolta come neve al sole, ma molto più semplicemente perché è venuta meno a loro la potenza penetrativa mentale e psicologica necessaria a stimolare i loro giocatori.

L’abitudine è una brutta bestia. Anche quella che fa capo a vittorie e successi assortiti. Provoca assuefazione anche involontaria. La stessa voce dell’allenatore, dopo un certo numero di anni, non riesce più a fare presa nello spogliatoio come accadeva all’inizio sicché ogni raccomandazione viene recepita quasi con indifferenza. I giocatori sono soggetti strani e spesso eterni bambinoni anche se straricchi e strafamosi. Hanno costante necessità di essere stimolati con cose e con modelli nuovi, anche se solo in apparenza. La solita lezione, anche quella tattica, ascoltata un milione di volte alla fine li annoia. Ed è allora che, come sempre e per tutti accade, è ora di cambiare. Non perché il mister, in questo caso Allegri nella Juventus, sia “bollito” ma perché ha fatto il suo tempo.