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Che cosa crede di ottenere il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, candidando alla presidenza della Federcalcio l’ex presidente dell’Inter, Massimo Moratti? Se pensa, con essa, di scalfire il fronte di Lega Pro, Lega Dilettanti, Allenatori e Arbitri che con il 63 per cento dei voti sostengono Gabriele Gravina si sbaglia di grosso.

Se, invece, attraverso Moratti (e a prescindere dal sì o dal no dell’interessato che vorrebbe una candidatura unica) ritiene di offrire un ramoscello d’ulivo che chiuda, in maniera storica e simbolica, la vicenda di Calciopoli, sbaglia due volteCalciopoli è nella vita della Juventus e dei suoi tifosi una ferita ineludibileCome, nella ricostruzione dei fatti, lo fu il coinvolgimento dell’Inter (Moratti) e di Telecom (Tronchetti Provera)

È vero che la famosa informativa, già archiviata dalla procura di Torino e spedita da una mano misteriosa alla Federcalcio, nacque all’interno di un ramo della famiglia Agnelli (la paura che Giraudo e Moggi si appropriassero della Juve), ma è altrettanto vero che di quanto ne seguì, l’unico club a beneficiarne fu l’Inter (uno scudetto a tavolino, la razzia dei campionati successivi giocati senza la principale avversaria), le cui responsabilità (uguali a quelle della Juve secondo il procuratore federale Palazzi) furono provvidenzialmente prescritte.

Sono stato direttore di Tuttosport dal 10 ottobre 2002 al 9 gennaio 2008, quindi mi sono fatto l’intera vicenda di Calciopoli, prendendo posizioni nette e scomodeTuttosport non è - come crede la gran parte dei tifosi italiani - il quotidiano degli Agnelli. Il suo editore si chiama Roberto Amodei, è romano e possiede, oltre al quotidiano sportivo torinese, il Corriere dello Sport e tutta la galassia dei periodici del marchio Conti, dal Guerin Sportivo (trasformato in mensile) ad Autosprint.

Quando un editore decide di cambiare direttore esercita in pieno un suo diritto. Perciò, nel momento in cui mi venne comunicata (fu proprio Amodei a dirmelo) la mia sostituzione, non provai alcun senso di ingiustizia.  Ero stato fortunato. Avevo diretto Tuttosport per cinque anni e tre mesi (solo Dardanello, Panza e Carlin erano rimasti più di me), potendo raccontare il ritorno dell’Olimpiade in Italia (2006) e non in un posto qualsiasi, ma proprio a Torino, cioé dove Tuttosport ha la sua sede. Ero stato testimone della gloriosa conquista del Mondiale da parte della Nazionale di Marcello Lippi, campione per la quarta volta, a 24 anni da Spagna 82. Avevo fatto una lunga, aspra e quasi solitaria battaglia per Calciopoli. "Solo i posteri - scrissi nell’editoriale di addio - potranno esprimere un giudizio definitivo su colpevoli, condannati, innocenti, intoccati".

Resta scritto, però che quella vicenda "ha decretato la retrocessione in serie B della Juventus, fatto senza precedenti non solo nell’ultracentenaria storia del club, ma anche nella storia della Serie A" . Certo, è molto strano che venissi cacciato pur avendo mantenuto Tuttosport a 120 mila copie di venduto medio quotidiano, cioé il 5 per cento in più dell’anno prima. Bisogna ammettere che in quel periodo, sostanzialmente precedente alla grande crisi, i giornali e, quindi, la carta non avevano ancora imboccato la parabola discendente. Però, avere ormai un milione di lettori quotidiani, secondo i dati Audipress, ed essere al nono posto assoluto nella graduatoria generale, rappresentava un sintomo di grande salute.

Non ci pensai. Ricevetti una lauta (e meritata) liquidazione e, una settimana dopo, cominciai a preparare per Cairo un possibile quotidiano sportivo. Con l’attuale editore della Gazzetta lavorai otto mesi (alla fine non se la sentì), durante i quali fui raggiunto dalle voci più disparate. La prima era che l’atteggiamento complessivo su Calciopoli mi fosse costato caro. La seconda che a volere la mia cacciata fu proprio Moratti. La terza, ripresa anche nel libro del professor Paolo Bertinetti, “Solo Noi” (Rizzoli), capitolo 12, pagina 219, che fossi stato allontanato "per la minaccia dei grossi gruppi di togliere la pubblicità".

Non so se tutto questo mi assegni l’etichetta di vittima di Calciopoli, ma anche se così non fosse,  ricordo bene quegli anni, so la sofferenza che hanno provocato al club e ai milioni di juventini, non ho dubbi nell’affermare che la volontà fosse quella di azzerare, come avvenne, la forza e la solidità della società più vincente d’ItaliaCalciopoli fu uno scandalo nello scandaloPer la prima volta nella storia processuale italiana si udì un giudice chiedere all’avvocato difensore (Cesare Zaccone) quale dovesse essere la pena per l’impuato che difendeva. E quello rispondere "la retrocessione con penalizzazione". Una farsa.

Purtroppo non si trattava solo di calcio, ma di molto di altro. Se Andrea Agnelli non se ne è accorto, mi dispiace, ma è una lacuna che va colmata. Il presidente della Juve è un uomo pubblico. Egli non rappresenta solo il presente e non pianifica solo il futuro. Viene da un lungo percorso, compiuto dal padre, dallo zio e dal nonno. È simbolo di tutto perché nulla può essere tralasciato. Ignoro quale possa essere il giudizio di Andrea su una vicenda di dodici anni. Ma escludo che la sua opinione possa coincidere con quella di Moratti. C'è uno iato percettivo troppo profondo anche a livello popolare. Ove mai prevalessero le migliori intenzioni per candidare Moratti, Agnelli è fuori tempo (troppo tardi) e fuori luogo: Moratti, pur avendo un remoto passato da presidente della Motonautica e del Settore Tecnico di Coverciano, non è uomo delle istituzioni. Era, e per certi versi, ancora rimane, il presidente dell’Inter. Quello del Triplete. Ma anche quello di Calciopoli.