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Alla fine, 'è giusto o no?'. Partiamo dalla fine, cioè dalle parole di Andrea Agnelli al Financial Times. E capiamo dove volesse andare ancor prima dei modi e dell'indubbia gaffe che non si può cancellare. Il focus non è mai stata l'Atalanta, con cui la Juve intrattiene rapporti economici, sportivi, di privilegiata amicizia; semmai, la questione riguarda la fragilità economica delle squadre di calcio. Un giorno sulla luna, quell'altro sotto terra. 

A FONDO - Il nome era ghiotto, il titolo di più. Non è normale che sia normale fermarsi alle quattro parole messe in fila che invalidano un discorso lungo e strutturato. Ma è la stampa, bellezza. E dopo tutta l'elettricità di questi giorni, un'esplosione era quanto di più naturale potesse arrivare. Peccato per la gaffe, praticamente sarrista, però il discorso di fondo va ugualmente preso e analizzato: bisogna proteggere gli investimenti, i costi. Una cattiva stagione non può portare a passi indietro e vanificare anni di sacrifici e intuizioni, potenzialmente posti di lavoro. Messa così, come suona? Sicuramente in maniera diversa, così com'è diversa oggi la percezione - altro esempio, stavolta giusto - della Roma. Vero che il campo debba sempre riflettere percorso e costruzione di una società, ma nessuno tende a considerare il dosaggio di fortuna e sfortuna che da sempre determina il destino (soprattutto economico) di gruppi di lavoro. 

AZIENDE - La lunga rincorsa di Agnelli è chiara: uscire dall'ottica che una società di calcio sia esclusivamente finalizzata al lavoro di campo, alla partita di domenica o mercoledì. Ma ampliare gli orizzonti, e i guadagni, da quella stessa mentalità. Va intesa come un'azienda, ovunque sia e qualsiasi sia la sfida da affrontare. E non è tollerabile che ogni settimana ci sia un esame, più o meno difficile, che possa non premiare tutti i sacrifici quotidiani di una normalissima impresa. Alla fine, 'è giusto o no?'. Di sicuro, è una bastonata indiretta alla sua squadra, oggi più lontana da quegli stessi orizzonti che Agnelli vorrebbe rendere programmabili al di là di responsi di campo. Perché, con certe cifre in gioco, non può più essere solo questione di etica sportiva: tutto s'è fatto business. Pure noi.

 

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