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Il 26 maggio. Questa la data fissata per il processo in Figc di Agnelli e la Juve. L'inchiesta, come noto, riguarda la gestione dei biglietti rapporti con gli ultras e l'infiltrazione della 'ndrangheta nella curva bianconera. La Repubblica fornisce una ricostruzione completa e dettagliata delle carte dell'accusa e di quale sia la strategia difensiva della Vecchia Signora. Un quadro utile per fare chiarezza in una vicenda accompagnata da troppe parole fuori posto. L'analisi va fatta punto per punto.

COMPROMESSO - L'accusa è semplice: i biglietti concessi agli ultras erano frutto di un compromesso per garantire l'ordine allo stadio. Il che violerebbe l'articolo 12 del Codice di Giustizia Sportiva. La difesa della Juve ammette l'errore, ma il club bianconero si dice vittima di pressioni da parte degli ultrà di cui, tra l'altro, le forze dell'ordine erano a conoscenza.

BIGLIETTI - La posizione della Juve è chiara: tutti i biglietti concessi sono stato pagati alla consegna e solo il primo anno c'è stata la concessione di tagliandi a titolo gratuito. Secondo l'accusa su 1000 tagliandi 100 erano concessi gratuitamente e i pagamenti avvenivano sempre in differita, segno di una conoscenza del fenomeno di bagarinaggio.

N'DRANGHETA - L'accusa più pesante: il club conosceva la storia del figlio del boss, Dominello, che gestiva i biglietti. Agnelli chiarisce di non aver mai incontrato il soggetto, i legali rettificano escludendo incontri solitari. Lo stesso Saverio Dominello, padre di Rocco e che della 'Ndrangheta ha fatto parte, ha definito il marchio infamante. E Rocco Dominello - a oggi non condannato -, per la società bianconera, era solo un ultrà dai modi più urbani e pacati di altri. 

GLI INCONTRI - L'accusa punta l'indice anche sugli incontri di Agnelli con i tifosi di cui il presidente bianconero avrebbe conosciuto la pericolosità. La replica della difesa Juve: gli incontri avvenivano col consenso delle forze dell'ordine.

GLI ULTRAS - Dalle intercettazioni arrivano segnali forti su quale fosse il potere dei capi ultrà, che arrivavano a suggerire la strategia da seguire al club nei rapporti. La società declina la responsabilità a chi aveva quel compito: i dipendenti D'Angelo, Merulla e Calvo.

LO STRISCIONE - C'è poi il nuovo caso legato all'ingresso di uno zaino contenente alcuni petardi e uno striscione che, secondo Pecoraro (ma non c'è modo alcuno di accertarlo) era quello dell'offesa ai morti di Superga. Per la Juve né Agnelli né D'Angelo erano a conoscenza del contenuto degli zainetti.